Domizio Torrigiani (1876-1932), avvocato, entrò in Massoneria nel 1896, nella Loggia Humanitas di Empoli. Diventò Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia nel 1922 e fu rieletto nel 1922 e nel 1925. Fu incarcerato e confinato dal regime fascista che lo liberò poco prima della morte.
Domizio Torrigiani

Avvocato, nato a Lamporecchio, in provincia di Pistoia, il 19 luglio 1876, Domizio Torrigiani fu eletto per ben tre volte Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia: nel 1919, nel 1922 e  nel 1925. Rimase formalmente in carica fino al 30 agosto del 1932, data della sua morte, anche se il Grande Oriente viveva ormai in esilio, dopo lo scioglimento delle logge decretata dallo stesso Torrigiani il 22 novembre 1925 a seguito della votazione al Senato, due giorni prima, della legge definita “sulle associazioni segrete”. La legge del 26 novembre 1925 n. 2029 (dal titolo “Regolarizzazione delle attività delle associazioni, enti e istituti e dell’appartenenza ai medesimi del personale dipendente dallo Stato, dalle provincie, dai comuni e da istituti sottoposti per legge alla tutela dello Stato, delle provincie e dei comuni”) restringeva il diritto di associazione, sottoponeva le associazioni al controllo della polizia e adottava misure repressive più severe. Fa parte di quel complesso di norme (leggi e decreti) conosciute come “leggi fascistissime” che il governo di Mussolini varò tra il 1925 e il 1926 per eliminare ogni espressione di libertà e perciò anche la Massoneria. Il periodo della gran maestranza di Domizio Torrigiani fino alla caduta del regime fascista fu il più tragico della storia del Grande Oriente d’Italia. Torrigiani, per la sua tenace e sofferta lotta per la libertà, è ricordato come il ‘Gran Maestro martire’.

Di famiglia benestante, Domizio Torrigiani si laureò in giurisprudenza all’Università di Pisa nel 1898 per poi intraprendere la professione di avvocato. Aveva vent’anni quando entrò in Massoneria: fu iniziato nella Loggia Humanitas di Empoli nel 1896. È di questi anni il profondo legame con il socialista Idalberto Targioni, sindaco di Lamporecchio, che con Torrigiani condivideva l’idea di uno Stato laico.

Domizio Torrigiani fu eletto Gran Maestro il 23 giugno 1919, succedendo a Ernesto Nathan; non aveva ancora compiuto 43 anni ed era per lo più sconosciuto: “salgo giovane e oscuro a un seggio illustre”, disse nel suo discorso di insediamento in cui il ‘giovane’ Gran Maestro evidenziava la volontà di portare avanti un’istituzione che avesse un ruolo di integrazione sociale e di mediazione tra la borghesia e le classi lavoratrici, non diversamente da quanto era accaduto in passato. Erano anni di forte lotta sociale, con l’affermazione, anche violenta, di nuove forze politiche, e Torrigiani intendeva mantenere il Grande Oriente ‘super partes’ tutelando le sue diverse anime, ideali e religiose, che per tradizione dovevano poter convivere liberamente.

Lo spirito patriottico e progressista dei Fasci di combattimento non lasciò insensibili alcuni massoni e Torrigiani sancì da subito la posizione della Massoneria giustinianea: “non si possono condannare i fratelli che siano nel fascio per questo solo fatto; però in nessun caso essi devono avere parte visibile di dirigenti”. Così dichiarava il Gran Maestro nella seduta del Consiglio dell’Ordine del 27 febbraio del 1921 con il chiaro intento di tenere lontana l’istituzione dall’agone politico. Dopo la marcia su Roma e l’ascesa al governo di Mussolini il carattere illiberale – e di conseguenza antimassonico – del fascismo fu evidente e in varie occasioni Torrigiani prese le distanze dalle accuse di antifascismo che gli venivano mosse dichiarando la lealtà del Grande Oriente al Governo. Occorre ribadire che l’appoggio si fondava su due condizioni: il principio irrinunciabile della laicità dello stato, sostenuto dai liberi muratori, e la volontà di evitare ripercussioni nei confronti dell’Istituzione massonica e dei suoi appartenenti. Nell’assemblea nazionale convocata dalla Giunta il 28 gennaio 1923 i delegati (circa 500) votarono la condotta da seguire nei confronti del Governo che ormai definiva la Massoneria «traditrice della nazione e negatrice del rinnovamento». Passò a maggioranza la posizione che poneva il Grande Oriente d’Italia “al di sopra dei partiti, nella concezione superiore degli interessi della patria” riaffermando l’idea di laicità dello stato, del rispetto delle libertà politiche e delle organizzazioni sindacali. Un’agenzia vicina al Governo, in un dispaccio del 30 gennaio, riferendosi alle conclusioni dei lavori (pubblicate dal Corriere della Sera il 1° febbraio), annunciava che il Gran Consiglio si sarebbe occupato presto della questione dell’associazionismo segreto: la nota suonava come una minaccia. Ormai Mussolini era certo che la Massoneria, dichiarandosi al di sopra dei partiti, non fosse conciliabile con il suo Governo e combatterla gli avrebbe giovato anche nei rapporti con il Vaticano. E così, il 15 febbraio 1923, il Gran Consiglio, a maggioranza, dichiarò l’incompatibilità tra l’appartenenza alla massoneria e l’adesione al Partito nazionale fascista. Di fronte al nuovo attacco, Torrigiani rese ancora garanzie di lealtà anche se, ormai cosciente della gravità della situazione, manifestò la volontà di portare avanti gli ideali liberomuratori dichiarando pubblicamente, nei mesi successivi, la ferma determinazione a resistere all’offensiva. Iniziarono gli assalti squadristi contro le sedi delle logge, le cronache ne contarono a centinaia, e a nulla valsero i richiami alle forze di Pubblica Sicurezza per avere giustizia e tutela. L’8 agosto del 1924 il Consiglio Nazionale fascista approvò un ordine del giorno che ratificò la rottura definitiva con la massoneria e da quel momento, fino al novembre successivo, la sede nazionale del Grande Oriente d’Italia a Roma, lo storico Palazzo Giustiniani, fu più volte oggetto di tentativi di assalto. Agli inizi del 1925 la strada verso la dittatura era segnata e il 19 maggio, con l’approvazione alla Camera della legge sulla regolamentazione delle associazioni (entrata in vigore sei mesi dopo) la soppressione della libertà e del diritto di associazione era cosa fatta e la massoneria non fu risparmiata. Domizio Torrigiani fu rieletto Gran Maestro nell’assemblea Costituente del Grande Oriente del 6 settembre 1925 e, data la gravità del momento, gli furono assegnati pieni e straordinari poteri.

Il 4 novembre, data dell’anniversario della vittoria (celebrazione istituita nel ’22), scattò l’azione poliziesca per un temuto attentato a Mussolini. Tito Zaniboni e il generale Luigi Capello, notoriamente massoni, furono arrestati. Palazzo Giustiniani fu invaso e saccheggiato. Il Ministro dell’interno diramò ai prefetti l’ordine di occupare le logge. Approvata la legge al Senato il 20 novembre, due giorni dopo Domizio Torrigiani decretò lo scioglimento di “tutte le Logge e gli Aggregati Massonici di qualsiasi natura all’obbedienza del Grande Oriente d’Italia” (art. 1) che “rimane a continuare la vita dell’Ordine Massonico” (art. 2). Quello del Gran Maestro Torrigiani fu un provvedimento cautelare per impedire ai Fratelli di essere vittime di rappresaglie. Il Gran Maestro rimaneva in carica ma si formò un comitato ordinatore che fu presieduto dallo stesso Torrigiani fino al 1926 quando, dopo aver ricevuto la notifica dal Ministero della Pubblica Istruzione dell’annullamento dell’acquisto di Palazzo Giustiniani (avvenuto nel 1911), si trasferì in Costa Azzurra, ufficialmente per motivi di salute. Il giorno dopo la sentenza che condannava Zaniboni e Capello a 30 anni di carcere “per tentato omicidio premeditato e per guerra civile”, Torrigiani, nel frattempo tornato in Italia, fu arrestato perché considerato complice e condotto nel carcere di Regina Coeli. Era il 23 aprile 1927 e due giorni dopo venne assegnato al confino di polizia per cinque anni, prima a Lipari, dove rimase un anno e mezzo, e poi a Ponza. Prima di essere arrestato aveva lasciato l’incarico di presidente del comitato ordinatore del Grande Oriente al Gran Maestro Aggiunto Giuseppe Meoni.

A Lipari, in regime di sorveglianza speciale perché ritenuto pericolosissimo, Torrigiani si ammalò gravemente, le emorragie retiniche di cui era affetto a causa dell’ipertensione gli stavano facendo perdere la vista e rischiava la cecità totale. Per il continuo peggioramento gli fu concesso il trasferimento a Ponza. Qui, nel periodo giugno-luglio del 1931, fondò una loggia clandestina, la “Carlo Pisacane”, formata da confinati politici massoni e condotta da Placido Martini, eletto maestro venerabile. Martini, insieme al fratello di loggia Silvio Campanile, fu trucidato alle Fosse Ardeatine nel 1944. Alla fine del 1931 Torrigiani, ormai ridotto in pessime condizioni di salute, lasciò le sorti del Grande Oriente d’Italia ormai in esilio a Parigi, nelle mani di Alessandro Tedeschi nominato Gran Maestro Aggiunto con funzioni di reggente. Pochi mesi dopo, il 21 aprile 1932, scagionato per “maturazione del termine d’assegnazione”, Torrigiani ebbe la libertà vigilata e finalmente potè ritirarsi nella sua villa di San Baronto dove morì la sera del 30 agosto 1932. Secondo una ricostruzione storica del dopoguerra, il feretro fu scortato solo da fascisti, fu proibito a chiunque di seguirlo, compresi i familiari. La salma fu cremata all’imbrunire e le ceneri deposte nella cappella di famiglia a Lamporecchio. La morte del Gran Maestro ebbe ampia eco sulla stampa massonica internazionale: “senza entrare nel merito delle scelte dell’illustre fratello – pubblicò il Bollettino della Gran Loggia di Francia – durante i primi anni del regime fascista Torrigiani si trovò a guidare la massoneria in tempi resi difficilissimi dallo scatenarsi dell’orrore e della barbarie. Circostanze, a fronte delle quali, nessuno si è mai trovato né in Italia né altrove”; e si conclude: “Domizio Torrigiani resterà, nella storia massonica, il Gran Maestro martire”.

Per approfondimenti:

  • Istituto Storico della Resistenza in Toscana, Archivio Domizio Torrigiani, inventario a cura di Eugenia Corbino, Betti, 2012)