Shoah. Il Grande Oriente celebra la Giornata della Memoria

“Bisogna parlare di quello che è successo, sarebbe una grave errore smettere di farlo e fingere che niente sia accaduto”. Lo ripeteva sempre Edo Fiano, Gran Maestro Onorario del Grande Oriente,  tra i sopravvissuti della Shoah, marchiato dai nazisti con il numero A540,  che in tutta la sua vita fino alla morte avvenuta nel dicembre del 2020 non ha mai smesso di assolvere al dovere di raccontare l’agghiacciante inferno che fu costretto a vivere. Un inferno di disumana brutalitá svelato al mondo  il 27 gennaio 1945, data scelta appunto per celebrare la Giornata della Memoria,  quando l’Armata Rossa  fece irruzione nel campo di concentramento di Auschwitz.  Ricordare l’orrore di quella immane tragedia è un dovere morale, sosteneva Fiano, un imperativo categorico che serve a mantenere viva la memoria di una ferita che non dobbiamo permettere si cicatrizzi ma di cui dobbiamo anzi perpetrare forte il dolore affinché non ce ne siano altre a segnare la storia dell’uomo. Non è retorica. E non sono retorica, ma testimonianza per le future generazioni, neppure le iniziative che vengono organizzate in questo anniversario. Un anniversario che il Grande Oriente d’Italia da sempre celebra, nel nome di tutte le vittime -milioni di ebrei e migliaia di rom, omosessuali, handicappati, dissidenti politici e anche fratelli liberi muratori- di quella assurda e programmatica ferocia  frutto di pregiudizio e razzismo, mali endemici che affliggono la nostra società, “mali contro i quali batterci sempre con l’arma dei nostri valori”, come sottolinea il Gran Maestro Stefanoj Bisi che nel 2018 annunciò la decisione della Comunione di cancellare la parola razza dal proprio ordinamento. La Giornata della Memoria è stata istituita dall’Italia con la legge 20 luglio 2000, ed è composta da due articoli che definiscono le modalità e le celebrazioni per la ricorrenza. Un analogo provvedimento è stato adottato cinque anni dopo dalle Nazioni Unite il primo novembre  2005. La risoluzione 60/7 fu preceduta da una sessione speciale tenuta il 24 gennaio 2005 durante la quale l’Assemblea generale commemoró il sessantesimo anniversario della liberazione dei campi di concentramento nazisti e la fine dell’Olocausto.

I fratelli deportati nei lager

Duecentomila si stima finora siano stati i liberi muratori che nei paesi occupati dalla Germania il regime di Hitler perseguitò e deportò, a partire dal 1934, distruggendone logge, sequestrando beni e documenti, gran parte dei quali sono stati recentemente ritrovati a Poznan in Polonia, dove gli studiosi li stanno catalogando. Contro i massoni il Terzo Reich costituì una sezione speciale ad hoc, la II/111 del Servizio di sicurezza delle SS,  diretta personalmente da Heinrich  Himmler. Nei lager i liberi muratori, al pari degli altri detenuti politici dovevano indossare un triangolo rosso,  mentre la stella di Davide era riservata agli ebrei,  il triangolo rosa agli omosessuali, quello viola ai testimoni di Geova…quello marrone agli zingari. Ma oggi il loro simbolo è il Non ti scordar di me, fiore che in Germania veniva utilizzato come segno di riconoscimento. Recentemente è stato scoperto che all’interno della Baracca 6 del campo di concentramento nazista di Emslandlager VII, in Bassa Sassonia, il 15 novembre del 1943, sette fratelli detenuti politici avevano innalzato le colonne  con il numero d’immatricolazione 29bis.8  e  in seno al Grande Oriente del Belgio, della  loggia Liberté chérie, Amata Libertà, che riecheggia le parole della Marsigliese. In Italia il Partito nazionale fascista aveva sancito con il Gran Consiglio del 13 febbraio del 1923 l’incompatibilità con Libera Muratoria, innescando un’ondata di assalti squadristi, culminata nel 1925 con la messa al bando ufficiale della Massoneria. I liberi muratori vennero perseguitati e spesso giustiziati senza processo anche nella Francia collaborazionista di Philipe Petain e nella Spagna di Francisco Franco, dove tra le  vittime ci fu anche il grande poeta andaluso e fratello Federico Garcia Lorca.

Le pietre di inciampo

Va avanti con grande successo l’iniziativa delle pietre di inciampo, i piccoli blocchi quadrati (10×10 cm), ricoperti di ottone lucente, posti davanti alla porta della casa nella quale ebbe ultima residenza un deportato nei campi di sterminio nazisti: su ciascuna il nome, l’anno di nascita, il giorno e il lager, la data della morte. In tutta Europa  hanno superato quota 70 mila, e il numero cresce di anno in anno. Un progetto monumentale per estirpare odio e violenza e ricordare tutti coloro che furono vittime della letale macchina razzista dei regimi del secolo scorso. Le pietre di inciampo sono ovunque, anche in Italia dove cominciano a essere compagne dei nostri passi in tante vie e piazze. Le ha volute l’artista tedesco Gunter Demning (nato a Berlino nel 1947), quando nel 1992 posò i primi blocchetti sull’onda delle parole del Talmud, che dice che “Una persona viene dimenticata solo quando è dimenticato il suo nome”. Leggere dunque quei nomi è un atto di fede nel futuro, un impegno che prendiamo affinchè l’orrore di cui sono stati vittime quegli uomini, quelle donne, quei bambini, non si ripeta mai più. Un modo nuovo per alimentare il loro ricordo, il ricordo di quello che accadde  e di tramandarlo ora che anche  i testimoni diretti stanno scomparendo. Un modo per combattere la banalizzazione della Shoah, in un momento in cui odio, intolleranza e antisemitismo hanno raggiunto livelli preoccupanti e in cui diventa ancora più fondamentale lavorare su questi temi, soprattutto nelle scuole.



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