Processo Sgarallino, il pugnale e quell’omicidio mai risolto: ecco il libro dell’avvocato Galdieri/ Il Tirreno

La ricostruzione di un caso clamoroso datato nel 1869 è l’occasione per un intrigante viaggio nel passato, nella storia d’Italia e della nostra città (Livorno)

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La ricostruzione di un caso clamoroso datato nel 1869 è l’occasione per un “Un caso di omicidio irrisolto: il processo penale a Jacopo Sgarallino, con divagazioni su altri fatti di quell’epoca”. Questo il titolo del libro scritto dall’avvocato Mario Galdieri e pubblicato da Vittoria Eguazu Editora. Uno spaccato avvincente su una vicenda storica poco conosciuta, ma di enorme spessore. Un lavoro di ricerca prodigioso, che ha portato alla luce uno dei pochi processi trascritti per intero, con protagonisti i più grandi avvocati difensori italiani dell’epoca: Francesco Carrara e Francesco Crispi. I fatti si svolgono nel 1869. Precisamente il giorno 24 maggio, intorno alle 20. Al porto di Livorno, nei pressi dello scalo “Quattro mori”, due distinti signori si stanno per imbarcare su un navicello, quando, all’improvviso, vengono aggrediti da un gruppo di uomini: il primo viene accoltellato al petto e muore sul colpo, il secondo, preso di mira alla gola, nella concitazione del momento, riesce in qualche modo a divincolarsi, e pur sfregiato nel volto, a salvarsi cadendo sulla barca. Non si tratta di personaggi qualsiasi, bensì del console austriaco Niccolò Inghirami, l’ucciso, e del generale conte Folliot De Crenneville, il vero bersaglio della spedizione. «Il movente dell’attentato spiega Galdieri- va ricercato nel periodo seguente al 10 e 11 maggio del 1849, le date famose dell’assedio di Livorno da parte dell’esercito austriaco comandato dal generale Costantino D’Aspre. La città , a differenza di altre provò a resistere, e quando fu costretta a cedere, si espose al saccheggio dell’invasore, alle tremende esecuzioni sommarie. Fu insediato come reggente dell’imperatore il generale De Crenneville che applicò una legge feroce, sostituii tribunali ordinari con quelli militari, e diventò giudice, boia ed esecutore, spadroneggiando sulla popolazione. Molte sono le testimonianze che affermano la brutalità dei mezzi usati: comportamenti che vanno oltre il coprifuoco e la legge marziale». Vent’anni dopo lo stesso De Crenneville commette la fatale leggerezza. «Nel 1869, fa un viaggio a Pisa e decide di fare un salto a Livorno per salutare il console austriaco Inghirami, convinto che il passato sia ormai stato superato. Ma “la cambiale non era scaduta”. E viene riconosciuto da coloro che ne avevano subito le crudeltà». L’omicidio e il tentato omicidio non possono passare inosservati: lo stato si mette subito all’opera per accertarne le dinamiche e punire severamente i responsabili. «La polizia fa una retata di 30 persone. Poi, in base agli alibi, il numero si sfalda e chiesta l’archiviazione. Ma c’è una forte opposizione e davanti al giudice, finiscono in sette: Corrado Dodoli, Baldassarre Pagliai, Luigi Fraschi, Jacopo Sgarallino, Giovanni Fantozzi, Giuseppe Ciucci, Fortunato Antonacci. Il processo si sposta a Siena perché si teme il condizionamento dell’opinione pubblica. Con una giuria formata da gente del luogo. Il procedimento dura alcuni mesi del 1871 e poi si conclude con la completa assoluzione degli imputati. «L’accusa dice Galdieri -parla di Massoneria e monta un teorema che vede gli attentatori legati da una setta, di sanguinari omicidi. Si tira fuori un illustre precedente: la famosa banda del Ciolli, assassini che si dipingevano la faccia di nero e ammazzavano efferatamente ignoti passanti, senza derubarli». Anche Livorno è ben presente negli atti. «Ci sono riferimenti alla Venezia, e all’osteria della fortuna, sita di fronte ad una casa di tolleranza, dove gli imputati erano soliti incontrarsi per poi andare dalle prostitute e rilasciare confidenze. Per questo motivo le donne in questione furono ascoltate in aula in modo approfondito». L’autore, in corso d’opera , si è avvalso dell’aiuto di Michela Sgarallino, che oltre ad avergli messo a disposizione documenti inediti, ha intuito come il pugnale utilizzato per l’agguato, potesse essere uno stiletto da sempre racchiuso da un panno e custodito in stile sacra reliquia dalla sua famiglia. I proventi dalla vendita del libro (nobilitato dalla prefazione del Gran Maestro Stefano Bisi) verranno interamente devoluti in beneficienza, con l’obiettivo di donare una borsa di studio. Mario Galdieri coni’ suo libro “Un caso di omicidio irrisolto: il processo penale a Jacopo Sgarallino, con divagazioni su altri fatti di quell’epoca” egli imputati del processo L’opera è stata scritta da Mario Galdieri che si è avvalso di preziosi documenti.

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