Presentato “Fino a prova contraria” di Annalisa Chirico. Giustizia, politica e comunicazione al centro del dibattito

Giustizia, politica e comunicazione e il pericoloso corto circuito che spesso si innesca nell’intrecciarsi di questi tre poteri a danno delle vite dei singoli cittadini. Questi i temi affrontati nel corso della presentazione del volume  “Fino a prova contraria.Tra gogna e impunità, l’Italia della giustizia sommaria ” (Marsilio) di  Annalisa Chirico, giornalista e volto noto del piccolo schermo, che si è tenuta  il 21 settembre al Vascello nell’ambito delle celebrazioni dell’Equinozio d’Autunno e della Breccia di Porta Pia.  Al  dibattito, introdotto da Angelo Di Rosa, e moderato da Antonello Piroso, giornalista, ex condirettore del Tg di La7, che nel 2008 riaprì il caso Tortora al quale dedicò poi  un monologo,  ha partecipato anche un magistrato, il Consigliere di Cassazione Giuseppe Cricenti. Mentre le conclusioni sono state affidate al Gran Maestro.

Incalzata da Piroso, la Chirico è entrata subito nel vivo dell’argomento affrontato con grande passione nel suo libro, così come in tanti incontri televisivi e articoli e inchieste. “Si parla molto di corruzione, in questo momento in Italia –ha esordito-  E siamo tutti d’accordo che va combattuta ,  ma dobbiamo anche uscire dalla demagogia e riconoscere il fatto che  negli ultimi anni il nostro paese si è dotato di strumenti anticorruzione secondo i migliori standard europei e lo ha fatto a partire dal governo Monti in poi. Quindi non è vero – ha sottolineato la giornalista- che siamo all’anno zero dell’anti-corruzione. Piuttosto –ha aggiunto-  se uno oggi guarda le statistiche internazionali, scopre che in realtà la vera emergenza in Italia resta la giustizia, ma purtroppo l’efficienza giudiziaria passa sempre in secondo piano perché è più facile usare slogan roboanti che toccano determinate corde”.

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In Italia, come ha sottolineato la Chirico abbiamo un uso distorto ed eccessivo della custodia. Guardando ai numeri, circa un terzo dei detenuti è in primo grado, ricorrente e in appello. Tanto che viene da pensare che in Italia sia più facile entrare in carcere quando si è sotto indagine che quando si è condannati. Non solo “Abbiamo ancora processi troppo lenti, che hanno la durata record  in Europa – ha riferito-  e i processi lenti  sono appunto la migliore assicurazione sulla vita per chi delinque. E questo vale anche per i corrotti. E non solo. Da qualche decennio – ha denunciato la giornalista-  sta succedendo nel nostro paese qualcosa di irreversibile  all’apparenza: la trasformazione dell’Italia  in una repubblica giudiziaria. Ha preso piede una giustizia emotiva, vendicativa, non ufficiale, che usa i giornali come arma contundente, al punto che c’è, chi preferisce invece che al commissariato andare a denunciare un reato  in tv tale è la sfiducia.  E questo è un meccanismo malato, incivile”.

Un meccanismo che soddisfa  l’esigenza –ha aggiunto Pirosodi una opinione pubblica alla quale si dà l’impressione  di una giustizia immediata. Si tratta in realtà di un circo  mediatico giudiziario in cui la gogna non arriva alla fine ma arriva prima che la giustizia dei tribunali si metta in moto. Ed  è ormai troppo tardi quando esce la sentenza, e che sia essa di condanna o di assoluzione, non importa più a nessuno. Siamo all’inquisizione dell’opinione pubblica, all’inquisizione di internet,  non solo più dei giornali e della televisione.  L’inquisizione dell’opinione pubblica o di internet.  Tutto questo serve ad alzare una cortina nebbiogena, all’ombra della quale chi deve continuare a fare il criminale lo fa benissimo, mentre i polli finiscono nel tritacarne”.

La parola è passata poi al magistrato, secondo il quale il circo mediatico e giudiziario ci sarà sempre se non si porrà un limite alla fughe di notizie e all’uso delle intercettazioni, limite che, ha ricordato Cricenti, si trova costantemente a dover fare i conti con la libertà di stampa. “Ma forse  -ha aggiunto- c’è un problema di fondo. Accanto a quello che si chiama populismo politico c’è da sempre un populismo giudiziario, che non è un fenomeno solo italiano. Un bellissimo studio di Jonathan Simon, relativamente alla giustizia americana a partire dagli anni sessanta in poi, tratta di un fenomeno, secondo me che si verifica anche in Italia, quello  del complesso dell’accusatore, di cui sono affetti i politici che tendono ad imitare i pubblici ministeri e a comportarsi come i pubblici ministeri e a basare la loro accusa sulla criminalizzazione di qualunque cosa, sulla richiesta di repressione di qualcosa, perché questo sugli elettori funziona meglio che non la proposta di soluzioni più articolate e più complesse da capire per la gente. E anche oggi noi abbiamo varie interpretazioni di questo genere. Non  credo che sia nella natura intrinseca del diritto penale essere populista. Puo’ sembrare paradossale,  e questo è un punto cruciale nei rapporti tra politica e magistratura, ma è il legislatore che crea il reato. A parte i delitti naturali, ma il 90% dei reati sono costruiti dal legislatore. Ed è inoltre il mondo in cui il legislatore introduce il reato che dà al magistrato, che applica la legge che fa il legislatore,  di avere manica larga o ha manica stretta”.

Sulla voglia di giustizia dei social  è tornato il Gran Maestro. “Il crollo del ponte di Genova –ha detto Bisi- è un fatto che ci ha traumatizzato. Pensare a quel camion fermo a due metri dal precipizio, pensare alle 43 persone che sono morte, alle centinaia di sfollati, alla gente che aveva fatto un mutuo per comprare la casa che ha dovuto lasciare… Eppure la prima cosa che è stata chiesta, la prima cosa che si è cercata di fare è stata quella di trovare un colpevole, non il colpevole”. “Io non conosco Benetton,  e anzi negli anni Ottanta quando legava il suo nome a una squadra di basket concorrente a quella della mia città, – ha riferito- non avevo assolutamente simpatia per lui. Però devo dire, questo accanimento nei suoi confronti, con la richiesta di revoca della concessione,  non è stato bello. E devo andare contro corrente e spezzare una lancia a favore dei magistrati. Il procuratore della Repubblica di Genova alla folla di giornalisti alla ricerca di un nome, appunto ha detto: la giustizia ha i suoi tempi perché bisogna che la giustizia sia giusta. Perché, aggiungo, un conto è la giustizia e un conto la vendetta. E la giustizia è dei paesi civili e la vendetta prevale dove vige la barbarie”.  “Noi –ha aggiunto- siamo per la giustizia giusta, che non vuol dire che deve essere lunga perché la giustizia lunga è ingiusta e lo dico da chi è in conflitto di interessi, perché per tre anni, tre mesi e nove giorni sono stato sotto la lente di ingrandimento di un pm, ma alla fine ho trovato un gip, un di quelli che studiano le carte e che  non si accodano ai pubblici ministeri, e  sono stato prosciolto perché il fatto non costituisce reato. Sono stato fortunato dottore?”, ha chiesto ironicamente il Gran Maestro al magistrato. “Comunque –ha proseguito Bisi- certo non è stato bello. Non è stato bello trovare sulla locandina di un giornale della mia città, il giornale concorrente a quello al quale lavoravo io,  il mio nome a grandi lettere. Non ricordo che abbiamo fatto altrettanto con Totò Riina”.



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