La lettera del Gran Maestro Stefano Bisi a La Repubblica in replica all’editoriale di Ezio Mauro del 10 maggio e la risposta del giornalista

Gentile direttore,

la vicenda della presunta esistenza di una pseudo Loggia Ungheria ha prodotto un fitto dibattito nei media e nell’opinione pubblica italiana scatenando fior di penne su una storia i cui contorni sono tutti da chiarire e che ha avuto per il momento un solo sicuro effetto immediato: quello di tirare in ballo la Massoneria come madre di tutti i complotti, di tutte le nefandezze, la solita salsa utilizzata per condire tutte le pietanze. Questo avviene regolarmente nei momenti più difficili e critici della storia del Paese. È allora che la Massoneria diviene spesso il comodo e fin troppo abusato capro espiatorio di quadri politici, giudiziari ed economici molto più complessi di fronte ai quali è facile addossare ogni misfatto ai massoni buttando la palla in calcio d’angolo, come si dice in un eloquente termine del gergo calcistico. Tutto questo è avvenuto e sta avvenendo puntualmente in questi giorni creando un ingiustificato e vergognoso nocumento ad una Istituzione secolare e regolare. Le scrivo questa lettera, non tanto per ribadire – ancora una volta – l’assoluta estraneità del Grande Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani e l’inesistenza di una loggia così denominata fra le 870 della più antica Obbedienza massonica italiana, quanto per rispondere alle considerazioni forti nei confronti di chi appartiene alla Libera Muratoria,  mosse nel suo editoriale da Ezio Mauro, storico direttore del quotidiano oggi da Lei diretto e fondato da Eugenio Scalfari che spesso ha ricordato con grande affetto il nonno, amatissimo massone di Vibo Valentia e fondatore di logge carbonare. Così come è stato autorevole massone Vittorio Valletta, l’uomo che la famiglia Agnelli scelse per fare grande la Fiat. Forse Mauro queste cose non le sa oppure non vuole ricordarle. Ma andiamo ai fatti. Il dottor Mauro, nel suo lungo ed elaborato articolo cita persino un ex Gran Maestro del passato, Frapolli, estrapolando una frase a lui attribuita e che parla in termini critici e non lusinghieri dell’Istituzione da lui stesso rappresentata.

Bene, ma è sufficiente citare una sola frase per costruire un teorema e mettere alla berlina una Istituzione che in Italia ha una lunga storia di libertà e conquiste democratiche? Che ha contribuito alla causa risorgimentale dell’Unità, alla nascita dello Stato italiano, alla lotta antifascista, alla Costituzione della Repubblica. Noi potremmo opporre i discorsi alti di uomini ed ex Gran Maestri dello spessore di Ernesto Nathan, Domizio Torrigiani, Ettore Ferrari che hanno pagato un prezzo salatissimo durante il fascismo. E potremmo continuare con Meuccio Ruini, padre della Costituzione, Mario Cevolotto autore dell’articolo 1 della Costituzione, e anche di Giuseppe Meoni, il massone grazie al quale i giornalisti hanno ottenuto un contratto di lavoro. Questo per dire che non si può rendere spunto dall’inchiesta “Ungheria”, per mettere in discussione l’esistenza stessa della Massoneria. A chi, Mauro compreso, potrebbe obiettare ricordando la P2, che era una loggia nata nel Grande Oriente d’Italia, vorrei ricordare le parole di Sandro Pertini, all’epoca presidente della Repubblica: “Mi si intenda bene – disse – perché non voglio che il mio pensiero sia travisato. Quando io parlo della P2 non Intendo coinvolgere la Massoneria propriamente detta con la sua tradizione storica. Per me almeno una cosa è la massoneria che non è in discussione, un’altra cosa è la P2”. Queste parole pronunciate  da una personalità laica di grande spessore politico e culturale  dovrebbero continuare ad essere un monito per tutti quando si parla di Massoneria cercando di minarne l’essenza e la credibilità. Spesso è una sintesi giornalistica affidare il termine loggia ad un qualsiasi “assembramento”: la P3, P4 e così via erano fantomatici gruppi che avrebbero operato per fini più o meno leciti o illeciti ma nulla a che vedere con le logge. Il complottiamo va sempre di moda, è la risposta più facile perché si dà la patente di verità anche a fatti che noi sappiamo non essere veri. Oggi finisce in logge anche la millanteria, perché c’è chi dà credito a millanterie. Nei momenti di crisi l’essere umano cerca una spiegazione, vera o falsa, perché lo rassicura. “Meglio che nessuna spiegazione, una spiegazione  che so essere falsa ma che io rendo vera perché mi rassicura” scriveva Nietzesche.

Rincorrere un colpevole dà l’illusione di risolvere un problema che però resta essendo la causa diversa dal soggetto che si addita. Vorrei ricordare che la Massoneria rientra a pieno titolo e diritto fra le associazioni legali sancite dall’articolo 18 della Costituzione. E riguardo al  “bisogno di consorziarsi in forma misterica” credo che ognuno si può riunire come crede e con gli abiti che preferisce. Noi mettiamo grembiuli e guanti per lavorare ritualmente secondo un’antica tradizione. Sul fatto che secondo Mauro “viene meno la riconoscibilità…” rispondo con le parole del Dalai Lama. Lui ha detto che si mette tutto sul balcone per nascondere il vuoto che c’è nell’appartamento. Quanto al segreto massonico chieda e gli spiegheremo il simbolismo. Venga liberamente a trovarci, come fa chi ha voglia di capire e conoscere effettivamente la Massoneria e come hanno fatto, negli ultimi anni, autorevoli giornalisti, storici ed esponenti delle pubbliche istituzioni.

Non ci nascondiamo e non occultiamo i nostri difetti e alcune pagine non edificanti della nostra storia ma difendiamo l’onore dei tantissimi fratelli che nel corso dei secoli e oggi compiono ogni giorno il loro dovere di cittadini esemplari e che pagano anche sul posto di lavoro la loro appartenenza al Grande Oriente d’Italia. Si ricordi pure che la caccia ai nomi dei massoni è di mussoliniana memoria e che per i massoni finì male. Ci fu l’assalto alle logge e la confisca di Palazzo Giustiniani che noi ancora oggi rivendichiamo. Le parole di Mauro ci sono sembrate assalti, pietre scagliate proprio mentre c’è bisogno di vivere in armonia, uniti nelle diversità. E non si sottovaluti il rischio che qualche mente folle possa vendicarsi di ipotetici torti subiti contro chi la sera va in loggia e si comporta da buon cittadino. Ci vuole molta attenzione nell’utilizzo delle parole. Sono come le pietre; si possono utilizzare per costruire ponti o per lapidare. Noi del Grande Oriente d’Italia difendiamo e difenderemo sempre la nostra libertà, quella degli altri e il libero pensiero. Non saranno dogmatici pensatori a mettere in discussione la bellezza e la necessità di esistere ed operare per il Bene e il Progresso dell’Uomo e dell’Umanità.

Stefano Bisi

Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia Palazzo Giustiniani

La risposta di Ezio Mauro al Gran Maestro

Gentile Dottor Bisi,

rispondo alla sua lettera a “Repubblica” prendendo innanzitutto atto della sua affermazione sull’inesistenza della Loggia Ungheria. Nel mio articolo sottolineavo la necessità di valutare con cautela una notizia che veniva da un personaggio indagato per associazione a delinquere e depistaggio. La sua risposta sull’estraneità del Grande Oriente d’Italia conferma che queste “rivelazioni” possono essere messe in campo, come ho scritto, per avvelenare i pozzi. Ribadisco quanto già detto: la magistratura accerterà e chiarirà. La frase di Ludovico Frapolli – basta leggerla – non critica affatto l’istituzione, bensì le sue degenerazioni che rischiano di trasformare le logge “disgradate” in “una specie di borsa commerciale, ingombre di fratelli inutili e persino di profani iniziati per intrighi benchè indegni”. Nel mio editoriale ne parlo, al contrario di come la interpreta lei, come di un “interdetto” contro queste deviazioni rispetto allo statuto storico della vostra tradizione.

Provo poi a ragionare sul bisogno di reti clientelari o peggio criminali di strutturarsi in forma separata e segreta, chiedendomi dove e quando si è smarrito il concetto trasparente di “pubblico”: interrogativo che credo dovrebbe essere di interesse generale, e che riguarda i protagonisti di un mercato illecito di influenze. Parlo quindi esplicitamente di ricorsi “veri o finti” a forme loggistiche attraverso un “mascheramento che generi autorità simbolica”. Spiego ancora che non è necessario il ricorso alla massoneria per costruire nel segreto “un network che si auto-alimenta e si auto-garantisce” organizzando “profitti, convenienze, dividendi di potere”. Mi pare un attacco al malaffare che vuole rimanere celato, non alla massoneria. In questo come vede non c’è nessun dogma, solo una preoccupazione – che dovrebbe essere comune – per un indebolimento della democrazia. Ribadisco dunque tutte le mie parole. Aggiungo ben volentieri un riconoscimento alla piena libertà di pensiero, che tuttavia rivendico anche giornalisticamente, nei confronti di ogni potere, delle varie istituzioni e di qualsiasi organizzazione, compresa ovviamente la massoneria. Questo ho sempre cercato di fare nel mio lavoro, a tutela della libertà di ognuno: e qui credo, al di là di fedi e appartenenze e nel rispetto della legge, ci può essere un incontro tra “buoni cittadini”, come dice lei.

Al declino di credibilità e prestigio della magistratura mancava solo il tocco rituale e iniziatico della loggia coperta “Ungheria”, della quale farebbero parte gruppi di pubblici ministeri, insieme con militari e alti dirigenti dello Stato. Poiché viene da un soggetto che ha patteggiato per corruzione in atti giudiziari ed è indagato per associazione a delinquere e depistaggio, la rivelazione è tutta da verificare e mentre avvelena i pozzi già intorbiditi del Csm conviene valutarla con cautela. Ma in attesa che la giustizia accerti e chiarisca, una domanda possiamo porcela fin d’ora: perché in Italia tutto, anche nella millanteria, finisce e comincia in logge, sodalizi clandestini, consorzi occulti e associazioni segrete? Dove e quando si è smarrito il concetto trasparente di “pubblico”, quando si è spezzato quello spazio di libertà tra lo Stato e il cittadino in cui si incontrano e competono gli interessi legittimi e le opinioni?

Di fronte a queste notizie, giudiziariamente difficili da provare, le reazioni normalmente sono di due tipi opposti. Da un lato si dà spazio alla sindrome del complotto, spiegando così ogni cosa senza venire a capo di nulla, ma iscrivendo ogni vicenda che chiama in causa i poteri nel grande mistero italiano. Dall’altro lato al contrario si banalizza ciò che emerge mentre doveva rimanere nascosto, avendo cura di svuotarne in anticipo la portata e il significato. Vale invece la pena provare a capire cos’è questo bisogno di consorziarsi in forma misterica e in modalità clandestina, al doppio scopo congiunto di condizionare e favorire, truccando le regole del gioco. Un vizio italiano talmente connaturato da diventare materia ideale per invenzioni, depistaggi, inquinamenti, vendette e manovre calunniose che mescolano il vero col falso, ma sempre guardando a quel “quinto angolo” della democrazia italiana che rimane coperto mentre copre un pezzo di realtà furtiva.

Sia chi organizza queste associazioni a trafficare (se non a delinquere) sia chi le evoca per contaminare le inchieste, ha una certezza in comune: la democrazia di uso quotidiano, che riguarda la vita dei cittadini, oggi è permeabile, può facilmente essere indebolita e addirittura corrosa da queste manovre che la soffocano come la ruggine. Ma in realtà, a ben guardare, l’indebolimento della democrazia viene prima, è all’origine, e spiega i fenomeni di cui stiamo parlando, perché lascia loro campo libero. La crisi delle istituzioni mina il ruolo dello Stato come regolatore neutro degli interessi concorrenti in nome dell’interesse generale, la crisi della politica priva il sistema del suo driver naturale, capace di indirizzo, strategia, autorità, costruzione del consenso intorno agli obiettivi da raggiungere.

In questo deperimento della fisiologia democratica, il meccanismo decisionale si autonomizza, gli interessi si costituiscono in forma anomala, ognuno si sente legittimato a pensare per sé. Anzi, peggio: ognuno si sente spinto ad adottare un pensiero di gruppo, a coalizzare le sue inquietudini e a consorziare le sue ambizioni, delegando a un network e ai suoi codici nascosti quella tutela e quel riconoscimento che dovrebbero venire dal merito professionale, dalla competenza, dall’esperienza e anche dal senso dello Stato. Tocchiamo così con mano gli effetti di una democrazia debilitata, che in tempo di crisi trasmette ai cittadini la sensazione di essere scoperti ed esposti. Il venir meno di una garanzia generale di sistema – la regola efficiente e rispettata – scatena la ricerca di garanzie particolari, illegittime, fuori dalla regola ma ubbidienti e dipendenti da altre discipline, segrete perché appunto anomale e abusive.

È quella meccanica sociale dei “giri” che già qualche anno fa Gustavo Zagrebelsky definiva “la nostra costituzione materiale”, insediata e operante attraverso uno scambio di protezione e favori con fedeltà e servizi. Le risorse che formano la materia di questo mercato occulto sono naturalmente pubbliche, denaro, appalti, sentenze, cariche e nomine: i patti di reciproco asservimento sono privati, perché si tratta di patti tra complici. Ecco perché viene meno una delle condizioni di base del procedimento democratico, e cioè la pubblicità, la riconoscibilità, la verificabilità di atti, comportamenti e decisioni, il rendiconto: vale a dire la trasparenza. Quando si rompe la faticosa e banale normalità della procedura regolare e legittima, tutto retrocede nell’ombra dell’arbitrio e del ricatto, coperti da un segreto che mentre garantisce i membri del sodalizio nello stesso tempo li compromette, e comunque li lega nella pratica illecita. Dagli arcana imperii di Tacito siamo passati al basso impero in cui si contorcono spezzoni di poteri impotenti che si affiliano tra loro cercando uno spazio di privilegio nella lobbizzazione della società: e intanto operano nascostamente per influenzare, suggerire, condizionare, boicottare, in un doppiogioco di promozione e interdizione.

Il resto viene da sé. Le grandi reti di corruzione e spartizione, le piccole compagnie di auto-accreditamento hanno comunque tutte bisogno prima o poi di un tavolo d’accordo e di un canone per arbitrare i conflitti, quindi di una struttura. Nello stesso tempo hanno necessità di “vestirsi” culturalmente e liturgicamente per non sembrare un semplice comitato d’affari, con un mascheramento che generi quell’autorità simbolica che non nasce dalla materialità degli interessi. Per questi scopi la tradizione più a portata di mano è quella massonica, e questo spiega perché molte lobby abbiano preferito prendere la forma di logge (vere o finte, il segreto non aiuta a capire) mentre stendevano reti di relazioni clientelari e influenzavano settori delle istituzioni.

Per la massoneria, teoricamente, dovrebbe valere l’interdetto pronunciato subito dopo l’unità d’Italia dal Gran Maestro Ludovico Frapolli contro le logge “disgradate fino a trasformarsi in una specie di borsa commerciale, ingombre di fratelli inutili e perfino di profani iniziati per intrighi benché indegni, mentre nessuna famiglia onesta avrebbe osato di farli sedere al proprio desco”. Ma l’Obbedienza, si sa, è stata spesso di bocca buona in Italia. E in ogni caso non è necessario provare a salire per i trentatré gradi della scala gerarchica di rito scozzese per vincolarsi reciprocamente in un patto di dipendenza e di garanzia nel commercio del potere. Laicamente, profanamente, Il network che si auto-alimenta e si auto-garantisce è la struttura che organizza i profitti, le convenienze, i dividendi di potere, parallelamente ai partiti che dovrebbero organizzare culturalmente la convergenza tra interessi legittimi e valori ideali.

In un Paese che non ha mai avuto un vero establishment, consapevole dell’interesse generale, il gregario-padrone di questi gruppi d’influenza è il ceto disancorato dalle vecchie appartenenze per l’urto della crisi che stiamo vivendo. Gramsci considerava la massoneria il partito della borghesia: qui si muove in cerca di tutela un ceto medio inquieto che aspira a una promozione sociale mentre si assoggetta a un ruolo clientelare, con pezzi di oligarchia spodestata, uomini delle professioni, parti di apparati amministrativi, giudiziari, militari, e quant’altro in quella mediazione perenne che vive tra le istituzioni e la società. È la perdita del concetto di unità dello Stato, non dal punto di vista territoriale, ma morale e politico. Così il rifugio italiano di questo demi-monde nel segreto rivela in realtà una subalternità spaventata, la rinuncia ad essere una vera classe dirigente: consapevole che il vero mistero del mondo è il visibile, non l’invisibile.



7 responses to “La lettera del Gran Maestro Stefano Bisi a La Repubblica in replica all’editoriale di Ezio Mauro del 10 maggio e la risposta del giornalista

  1. Complimenti al Gran Maestro per la risposta a cui Mauro ha a sua volta risposto arrampicandosi sugli specchi.

  2. LA RISPOSTA DEL SGM FR. STEFANO BISI, É DI UNA CHIAREZZA E BELLEZZA SPIETATA, CHE RIMANDA AL MITTENTE LE INGIUSTE PAROLE, ARTICOLAZIONI E CONCETTI ERRATI, NONCHÉ L’IGNORANZA D
    NELLA CONOSCENZA DELLA MASSONERIA STESSA , PRESENTI NELL’EDITORIALE.
    GRAZIE CARO SGM FR. STEFANO BISI A NOME DELLA MASSONERIA REGOLARE.
    TFA
    FR. PASQUALE CEROFOLINI

  3. C’è poco da aggiungere alla saggezza insita nella lettera del Gran Maestro. Bene ha fatto ad intervenire mettendo chiarezza all’articolo del giornalista eccelso. Grazie per aver dimostrato a tutti di che pasta siamo fatti!

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