La gentilezza dell’arbitro Così Vannini rinnovò Siena/La Nazione

Canzio Vannini era massone e maestro venerabile della loggia Arbia di Siena

Ecco di seguito l’articolo pubblicato a sua memoria da La Nazione

Una foto una storia Il ricordo nello scatto di Mattioli a 21 anni dalla scomparsa. Così il primo cittadino ha rivoluzionato la città in punta di piedi

Canzio Vannini in compagnia di Lelio Lagorio nello scatto di Augusto Mattioli

Canzio Vannini in compagnia di Lelio Lagorio nello scatto di Augusto Mattioli

Senza gesta eclatanti, ma guardando sempre alla sostanza, possiamo ricordare la figura e l’opera di Canzio Vannini, che fu primo cittadino di Siena in due distinte occasioni. La prima nella breve durata di alcuni mesi, dal novembre 1968 al successivo giugno, e la seconda per un mandato pieno, dal gennaio 1974 al 30 luglio 1979. Come è accaduto in molte fasi della vita politica cittadina, ma anche in quella nazionale, il partito socialista con le sue alleanze teneva a bada i contrasti fra i comunisti e i democristiani, un perfetto ago della bilancia.

Ma questo non aveva spesso un significato negativo, anzi, sapeva da un lato tenere a bada fughe utopistiche e dall’altra gli eccessivi moralismi che male si accordavano con i tempi che il paese reale stava incominciando a vivere.

Essere manifestamente progressista era invece sinonimo di larghe vedute, di nuovi orizzonti, senza legarsi a nessun stretto vangelo politico. E fra questi spiccava la figura di Canzio Vannini, che ci appare come la figura dell’arbitro calcistico, di cui si riconoscono i meriti quando non ci accorgiamo della sua presenza. Vannini era invece molto presente ma mai con eccessivi personalismi, nel segno che la buona politica di fa con ordinanze e piani regolatori e non con esplosive dichiarazioni. Nei suoi giorni ricordiamo la progettualità concreta del quartiere di San Miniato e la costruzione del nuovo palasport. Ma soprattutto di essersi circondato di architetti illuminati come Giancarlo De Carlo. Magari, per la zona di piazza Matteotti e Fortezza, poteva avere più coraggio perché i tempi erano quelli giusti, ma la sua ampia visione di una nuova città si scontrava con la burocrazia di uffici e di altri colleghi politici.

Uomo affabile e di gentile personalità, ci ha lasciato in silenzio nel maggio del 2001, amando con assoluta coerenza una città a cui era legato da sempre e l’essere nato a Massa Marittima lo rendeva ancora più distante da qualsiasi amore obbligato, lavorando invece sempre per una comunità a cui si era subito legato non per appartenenza natia ma per condivisione di ideali. Una di quelle figure che andrebbero riscoperte e valorizzate, anche per offrire ai più giovani il significato (vero) del fare politica e il ruolo definito e chiaro di un uomo che si dedica alla comunità, cosa di cui oggi si è perso un po’ le tracce.

Massimo Biliorsi



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