La vicenda dell’editore massone Formiggini suicida contro le leggi razziali di Mussolini raccontata al Vascello dal giornalista Marco Ventura autore del libro “Il Fuoriuscito”

“Non oso più andar fra la gente/ perché ciaschedun si vergogna/ che mi abbiano messo alla gogna/ innocente”. Lo scrive all’indomani della promulgazione delle leggi razziali nel suo diario l’editore massone Angelo Fortunato Formiggini. Pochi giorni dopo, nella fredda e nebbiosa mattina del 29 novembre 1938, il raffinato intellettuale modenese dall’impareggiabile humor si toglierá la vita, lanciandosi nel vuoto dalla torre Ghirlandina, simbolo della sua cittá. Un gesto per “dimostrare l’assurdità malvagia dei provvedimenti” del regime di Benito Mussolini, come si legge nel messaggio lasciato alla moglie. A  squarciare il velo d’oblio calato sulla vicenda umana di quest’uomo fuori dalle righe, di questo libero muratore “anomalo, visionario, ironico” è il volume – presentato al Vascello il 21 settembre nell’ambito delle celebrazioni della Breccia di Porta Pia e dellàEquinozio d’Autunno , organizzate dalla Fondazione Grande Oriente d’Italia- dello scrittore e giornalista Marco Ventura, edito da Piemme, con la prefazione di Aldo Cazzullo, dal titolo “Il fuoriuscito”.

Un fuoriuscito si considerava appunto Formiggini e cosí si firmava pure negli ultimi mesi della sua vita. “Un fuoruscito, estraneo a ogni consorteria, classe, razza, partito”, e questo spiegherebbe, secondo Ventura, la congiura del silenzio che ha sempre avvolta la sua vita. Incompreso e perseguitato, mal visto anche dagli antifascisti perché conviveva con il fascismo che lo tollerò, per poi abbandonarlo al suo destino, quando non risultó più politicamente conveniente. Formiggini decise e pianificò fin nei dettagli la propria morte, come atto politico di protesta estrema. Fu il primo suicida contro i provvedimenti che dimostravano e realizzavano l’”hitleritzia”, come definí il contagio nazista di Mussolini.

Formiggini, cheaveva coniato la parola editoria, fondato L’Italia che scrive, un periodico mensile d’informazione libraria che, nei suoi intenti, doveva occuparsi di “tutte le principali questioni inerenti alla vita del libro italiano in quanto esse sono essenziali alla vita spirituale della nazione”, costituito una biblioteca dell’umorismo, battezzata la “Casa del Ridere”, progettato una Grande Enciclopedia Italica, iniziativa bloccata da Gentile e realizzata da Treccani, si tolse la vita forse anche perché si sentí in colpa di aver tollerato l’ascesa del regime fascista, e lasciò scritto di farsi cremare, e queste due scelte, il sucidio e la cremazione, lo misero anche contro la Legge di Mosè, al punto che la comunità ebraica della sua città, Modena, si rifiutò in seguito di ricordarne il sacrificio con una targa nella Sinagoga della città. Formíggini era ebreo, anzi discendeva da una delle più illustri famiglie ebraiche modenesi, ricchi gioiellieri e poi banchieri degli Estensi che annoverarono anche figure storiche di rilievo come Moisé Formiggini, deputato della Repubblica Cispadana, bonapartista e promotore della futura Accademia Militare di Modena, delegato alla compilazione del Codice di commercio napoleonico e membro del Gran Sinedrio di Parigi del 1807.

Ma fu un ebreo sui generis, fautore dell’assimilazionismo, che peraltro era la corrente prevalente all’epoca tra le comunità dell’Europa occidentale. E agli ebrei, prima di darsi la morte, scrisse una Lettera in cui suggeriva perfino di festeggiare la domenica e non il sabato, e dismettere l’abitudine di chiamare i figli con nomi strettamente “ebraici”. Il suo suicidio non produsse la rivolta auspicata. Il suo corpo fu immediatamente rimosso, i funerali vietati di giorno così come i necrologi sui giornali. E solo alcune testate straniere riportarono notizia della sua morte. Con lui si estinse anche la casa editrice, che già era in declino,  perché non allineata al regime e il suo stravagante e ricchissimo museo denominato “La casa del ridere” confluí nella Biblioteca Estense. La sua splendida abitazione romana sul Campidoglio venne rasa al suolo e il diario, gli appunti e le lettere che documentano il percorso che lo portó a compiere l’estremo gesto finale, vennero raccolti dalla moglie Emilia, grande pedagoga e docente universitaria, in un libro che resta uno dei più terribili atti d’accusa contro l’antisemitismo fascista, pubblicato dopo la guerra: “Parole in libertà”.  Ventura dedica anche alcune pagine del suo libro, e si é detto intenzionato a riprendere e ad approfondire l’argomento, al rapporto tra Formiggini e la Massoneria che fu intenso e “serio”, mai sfiorato da quella vena umoristica che caratterizza tutti i suoi scritti. Formiggini venne iniziato, ha raccontato Ventura, il 24 marzo del 1923 nella loggia Lira e Spafa all’Oriente di Roma, Foro Traiano 25. Aveva 25 anni e aderí ai principi della Massoneria, cogliendone le finalitá, il perferzionamento morale, intellettuale e materiale dell’umana famiglia, la necessitá di far trionfare la libertá e la giustizia , e il dovere della solidarietá.

Scheda

Marco Ventura è stato inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di una decina fra saggi e romanzi, tra cui “Hina, questa è la mia vita”: storia di Hina Saleem la ventenne pakistana uccisa nel 2006 dalla su famiglia perché “troppo occidentale”. Dal suo libro “Il Campione e il Bandito”, ispirato alla storia di Costante Girardengo e Sante Pollastro, è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai, vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. E’ anche autore tv, di programmi come “Unomattina” e “Unomattina Estate”, “Virus” e “In Onda”.

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