Da leggere o rileggere. “Il barone rampante” di Italo Calvino. Lo scrittore era figlio del libero muratore Mario. Suo nonno partecipò alla presa di Porta Pia

Tra gli scrittori da riscoprire  in questo periodo di isolamento c’è senz’altro il grande Italo Calvino, di cui, tra le tante straordinarie opere, andrebbe letto o riletto Il barone rampante, scritto nel 1957, secondo capitolo della trilogia araldica I nostri antenati, insieme a Il visconte dimezzato (1952) e Il cavaliere inesistente (1959). In questo romanzo, che abbraccia  tutto il periodo della Rivoluzione francese iniziando nel ventennio immediatamente precedente e concludendosi in piena Restaurazione, Calvino, figlio di Mario, fratello e libero muratore e nipote di Giovanni Bernardo, che partecipò alla presa di Porta Pia il 20 settembre del 1870 (Vedi Erasmo n. 2 2020), fa precisi riferimenti alla Massoneria, interpretabili in chiave  autobiografica. In particolare nel capitolo XXV.  

La storia è è narrata da Biagio, fratello del protagonista, Cosimo Piovasco di Rondò,  giovane, rampollo di una famiglia nobile ligure di Ombrosa, che all’età di dodici anni, in seguito a un litigio con i genitori per un piatto di lumache, si arrampica su un albero del giardino di casa per non scendervi più per il resto della vita. Cosimo dimostra ben presto che il suo non è solo un capriccio: spostandosi solo attraverso boschi e foreste e costruendosi a poco a poco una dimensione quotidiana anche sugli alberi. Lo stile di vita alternativo di Cosimo si traduce col tempo in un percorso di formazione e maturazione. Il romanzo si chiude con l’ultimo colpo di scena: anziano e provato dagli anni sugli alberi, Cosimo non si arrende e non scende a terra, rispettando fino all’ultimo la propria promessa. Al passaggio di una mongolfiera, si aggrappa ad un cima penzolante e scompare all’orizzonte.

Per Calvino la scelta che il protagonista compie non è una fuga dal mondo, né dai rapporti umani e dalla società: la storia di Cosimo rappresenta la volontà di un uomo che vuole seguire fino in fondo una regola che si è autoimposto, perché senza di questa non avrebbe un’identità da presentare a se stesso e agli altri. Cosimo decide di salire e vivere sugli alberi non come un “misantropo”, ma come un uomo coinvolto nei suoi tempi e che partecipa alla vita degli uomini, agisce altruisticamente e aiuta gli altri; nella consapevolezza che “per essere con gli altri veramente, la sola via era d’essere separato dagli altri”. (Clicca per approfondire)

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