Fra Chiesa e massoni non parte da zero l’appello di Ravasi – Il Giornale del Piemonte

«Cari fratelli massoni» è l’invito al dialogo lanciato il 14 febbraio 2016 dal cardinale Gianfranco Ravasi («Domenica» di «Il Sole-24 Ore»). Suscita entusiasmo e qualche scalpore, come fosse novità assoluta. Per fare «più luce» (come invocò morendo il massone Goethe) tre osservazioni allora s’impongono. Anzitutto, l’Inquisizione non imperversa più da tempo. Nei Paesi «occidentali» chi entra in massoneria non rischia la tortura né la vita. Gli accadeva nei paradisi del socialismo reale (Urss e Stati vassalli) e capita ancora nei regimi fondamentalisti islamici, che, fermi al Medio Evo, vietano le logge sotto pene gravissime. In secondo luogo, la maggior parte degli euro-americani sempre più coniuga tolleranza e indifferenza, per le «porte sante» come per le statue erette nell’Ottocento a ricordo degli eretici suppliziati, da Arnaldo da Brescia a fra’ Dolcino e Giordano Bruno. Dunque, «libera loggia in libero Stato»? Anche troppo, lamentano le Comunità massoniche legittime e regolari, perché, in assenza di una tutela giuridica del loro nome, chiunque può abusare di insegne come Grande Oriente o Gran Loggia. Anche su questo terreno, però, non siamo all’anno zero, proprio perché l’informazione (cartacea o per internet) consente a chiunque lo voglia davvero di distinguere i «soggetti» storici da imitazioni scadenti e spesso truffaldine. Vero è, però, che in un Paese qual è l’Italia, più devoto ai santi che al Dio uno e trino, le cappelle rurali sono più affollate delle cattedrali. Perciò pullulano le massonerie sedicenti e quelle «di frangia», così denominate da Massimo Introvigne e bersagliate dal polemico «Inimica vis» di don Ennio Innocenti, esperto di neognosticismo. Il ritardo della «cultura» si somma a quello della politica, cioè del legislatore, che si trincera dietro la propria incompetenza (giuridica, non solo dottrinaria) ad avallare l’albero genealogico delle diverse Obbedienze e, quindi, le rivendicazioni di legittimità e regolarità. Ne consegue che in Italia la massoneria è conosciuta (poco e male) ma non riconosciuta. Eppure proprio lo Stato, così cauto dinnanzi alle logge, stipula intese con un ampio ventaglio di «chiese», senza entrare nel merito delle loro «verità». La Repubblica si limita ad accertarne i requisiti amministrativi a cospetto delle leggi ordinarie, senza valutarne i fondamenti teologici, dottrinari, catechistici né le promesse ultraterrene.
Altrettanto potrebbe quindi fare con le Comunità massoniche, mettendole al riparo da inchieste spericolate, da sospetti di chissà quali riti orrorosi e dalla ricorrente tentazione di alcuni magistrati di pretendere la lista degli affiliati, fatalmente destinata a finire in pasto al pubblico, come è ricorrentemente accaduto. Dovrebbe farlo, tanto più che la massoneria non è né una religione né un partito, ma un Ordine iniziatico: non insidia né pretende. Chiede solo la libertà di essere sé stessa come è da tre secoli. Questo passo è da compiere anche perché alcuni partiti presenti in Parlamento senza argomenti plausibili vietano ai propri iscritti di associarsi a logge massoniche, così introducendo un «vulnus» che investe l’intera società e i fondamenti della democrazia. Orbene, per l’articolo 49 della Costituzione i cittadini «hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale»: ma chi ne accerta la democraticità interna? Da 70 anni questa è una domanda senza risposta. Perciò circolano pregiudizi deplorevoli. L’ha messo a nudo la ministra per le riforme, Maria Elena Boschi, che si è ritenuta libera di sibilare «Massone lo dice a sua sorella» a chi insinuava un`influenza liberomuratoria su certi fatti di cronaca, manco che, declassato a epiteto, «massone» possa suonare come un insulto nel Paese che alle logge ha dato Vittorio Alfieri e Giuseppe Garibaldi, Giosuè Carducci ed Enrico Fermi, fior di politici, generali e il padre della Costituzione, Meuccio Ruini (*). L`immobilismo normativo è alla radice del (finto?) scalpore suscitato dal cardinale Ravasi. Sessant’anni orsono in Francia, che sul piano delle libertà è sempre di decenni più avanti dell’Italia, molti ecclesiastici dicevano altrettanto, anzi di più. Per un pubblico confronto sulla compatibilità tra chiesa cattolica e massoneria il gesuita Michel Riquet venne accolto in una loggia a Parigi «a maglietti battenti», onore riservato solo ai grandi dignitari dell’Ordine, presente il giurista cattolico Alec Mellor, non iniziato ma autore del celebre «I massoni, nostri fratelli separati». Era il 1962, in pieno Concilio Ecumenico Vaticano I, al quale il messicano Méndez Arceo, vescovo di Cuernavac a, propose l’abolizione della scomunica dei massoni «latae sententiae», cioè senza accertamento della loro posizione personale, una sorta di «esecuzione sommaria» senza istruzione processuale, per puro pregiudizio. Dunque non si parte da zero. Nel suo importante articolo-appello il cardinal Ravasi non lo ricorda, ma nel lontano 19 luglio 1974 il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Ferenc Seper, scrisse al pari grado John Joseph Krol, presidente della conferenza episcopale degli USA, che ormai si poteva «insegnare e applicare l’opinione di quegli autori» secondo i quali la scomunica colpisce «soltanto i cattolici iscritti ad associazioni che “veramente” cospirano contro la Chiesa»: cosa che di rado i massoni hanno fatto, sia perché per statuto non si occupano di religione né di partiti, sia perché semmai (come molti cattolici, del resto) avversarono il potere temporale dei papi, non la chiesa in quanto tale. Il «documento» del cardinale Seper costituì «un punto di arrivo dopo un lungo lavoro periferico e assolutamente informale di chiarificazione, di contatti, di migliore conoscenza – dall’una e dall’altra parte – della “genuina impostazione originaria della massoneria speculativa moderna». A scrivere parole così pacate fu il gesuita Giovanni Caprile per l’«Enciclopedia italiana». Era il 1978. Quasi quarant`anni orsono. Insieme con il paolino Rosario F. Esposito e il salesiano don Vincenzo Miano, padre Caprile dialogò ripetutamente con una delegazione di massoni del Grande Oriente, formata da un ebreo (Pellegrino Ascarelli), un valdese (Augusto Comba, storico insigne) e Giordano Gamberini, già vescovo della chiesa gnostica, per nove anni Gran Maestro del Grande Oriente d`Italia e traduttore del Vangelo di San Giovanni per la «Bibbia Concordata»: uno spiritualista che soleva farmi notare quanto siano rare in Italia le chiese dedicate allo Spirito Santo. Dunque, per riflettere sull’appello del cardinal Ravasi non si parte dalla scomunica fulminata da Clemente XII nel 1738, dalla pena di morte decretata dal cardinale Ercole Firrao ai danni dei massoni, né dalle condanne ribadite da Pio IX o Leone XIII, come la «Humanum genus» ripubblicata da Guglielmo Adilardi per l’editore Pontecorboli. La Dichiarazione voluta il 23 novembre 1983 da Joseph Ratzinger non cancellò il passo compiuto dal suo predecessore, Seper né reinserì nominativamente la massoneria tra le associazioni «scomunicate» dal codice di diritto canonico che riformò quello varato nel 1917 da Benedetto XV, in piena guerra mondiale e mentre la Russia, preda della rivoluzione, precipitava sotto il tallone dei bolscevichi che decretarono l’incompatibilità fra la Terza Intenazionale comunista e le logge. Dai tempi di padre Riquet il mondo ha camminato in fretta, ma qualcuno (soprattutto in Italia) è rimasto fermo ai pregiudizi del passato remoto. Bene ha fatto, quindi, il cardinal Ravasi a rimettere in moto le lancette: queste, tuttavia, debbono ripartire non dallo scontro ottocentesco tra clericali e anticlericali né dalle dispute pro o contro il monumento di Giordano Bruno in Campo dei Fiori, «ove il rogo arse» (difeso da Mussolini dopo i Patti Lateranensi, quando alcuni fanatici ne chiedevano la rimozione), bensì dalla pronunzia del prefetto Seper: e ciò, per non disperdere come foglie secche quarant`anni di dialoghi, di approfondita reciproca conoscenza e di quotidiano esercizio di tolleranza e di pazienza operato da studiosi come il gesuita José A. Ferrer Benimeli e tanti ecclesiastici di varie confessioni cristiane, sulla traccia dell’incontro tra p. Gruber e il massone Lennhoff (1928), concordi nel fare argine contro il materialismo di Stalin e il nazismo in ascesa, e del magistero di don Franco Molinari, assistente all’Università Cattolica e rimpianto autore di «La Massoneria, cattedrale laica della fraternità» (1981). (Aldo A. Mola)

(*) Lo ricorda il «Quaderno»dei Martedì Letterari del Casinò di Sanremo, «Ideali e uomini della Massoneria per la Costituzione», pubblicato a cura di Marzia Taruffi per memoria dell’incontro dei Grandi Maestri il 26 gennaio 2016 (ed. De Ferrari, Genova, già in 2ª edizione).

L’articolo sul Giornale del Piemonte del 21 febbraio 2016

Lettera del Gran Maestro Bisi a Il Sole 24 Ore dopo l’articolo del Cardinale Ravasi su Chiesa e Massoneria 

 



One response to “Fra Chiesa e massoni non parte da zero l’appello di Ravasi – Il Giornale del Piemonte

  1. Gran Maestro, hai risposto in modo ineccepibile, veritiero, onesto e dignitoso al Cardinale Ravasi. Penso che di più e di meglio non si possa fare: hai espresso al meglio il mio stesso pensiero. Grazie.

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