Riscoprire la sacralità per un’etica del dialogo. Fratelli con tutti nella differenza

Ritrovare le radici delle storie religiose e laiche, profondamente radicate nella cultura del Mediterraneo. Per riscrivere tolleranza e dialogo nella storia. E’ stato questo l’obiettivo del secondo Talk Show, dal titolo ‘Multireligiosità ed etica della cittadinanza’, che si è tenuto al Palacongressi di Rimini, nella seconda giornata di lavori della Gran Loggia del Grande Oriente d’Italia. Il confronto, condotto e moderato da Alessandro Cecchi Paone, ha visto la partecipazione di Claudio Bonvecchio, Università Insubria di Varese; Paolo Gambi, giornalista e scrittore; Elio Jucci, Università di Pavia; Stefano Levi della Torre, Politecnico di Milano; Younis Tawfik, Università di Genova; Maurizio Viroli, Università di Princeton.

“Niccolò Machiavelli – ha detto nel suo intervento Maurizio Viroli – ci ha lasciato alcune perle di saggezze che merita riscoprire. Anzitutto una denuncia sconsolata: ‘Grazie alla Chiesa di Roma e all’esempio reo di quella corte, noi italiani siamo diventati sanza religione e cattivi’. E’ ironico, il Segretario fiorentino. ‘Sanza religione’ voleva dire che vivevano la religione come pratica esteriore, non di coscienza. E in una pagina della ‘Mandragola’, frate Timoteo è un uomo di Chiesa che si preoccupa del fatto che le statue in Chiese non siano impolverate. Che i cristiani pratichino la carità non gli interessa, l’importante è che si facciano processioni e si facciano belle”. Da qui l’invito dello studioso all’Università di Princeton: “Non ingannare la coscienza. Per Machiavelli, senza spirito religioso autentico non vivi libero. Perché per vivere libero devi essere forte dentro, devi saper affrontare le fatiche del dovere. Ma se non c’è la coscienza della libertà, tutto diventa retorica o esteriorità”. Così “sentimento religioso debole ed etica del cittadino ancora più debole porta a una conseguenza: siamo il Paese della libertà fragile – ha rimarcato Viroli – dalla libertà dei cittadini si è passati alla libertà dei servi. Ma nel filone della nostra esperienza spirituale, abbiamo un patrimonio straordinario. Il nucleo dello spirito religioso, che si trasformava in esempio, era ispirato alla tradizione cristiana ma da questa aveva tratto una sola parola: Caritas. Se vuoi essere buon cristiano, devi essere buon cittadino. Questo è arrivato fino alle pagine altissime dell’antifascismo. Ed è la religione della libertà di Benedetto Croce. Riscopriamo questa tradizione. E poniamo una domanda che resta: come fate a essere buoni cristiani se non siete buoni cittadini?”.

“Nella vita – ha scandito ancora l’autore di ‘Scegliere il Principe’ – se prendi sul serio la coscienza e hai vita interiore, non hai paura della diversità e delle idee. Non hai bisogno della forza della spada per difendere posizioni”. Il bene comune è ‘più divino’, come insegna l’Etica Nicomachea. L’idea del servizio “come scintilla del divino in noi – ha spiegato ancora Viroli – è uno di quegli aspetti della religione della libertà che deve rinascere in Italia. Quando ci sono troppe persone che non hanno vita interiore, si aprono strade all’omologazione. La religione è dare l’esempio, costruendo con umanità una storia più giusta”.

“La tolleranza deriva dalla spiritualità – ha sottolineato Bonvecchio – oggi la spiritualità è centrale nelle esigenze delle persone, nei rapporti come nei conflitti. Una discussione aperta che fa parte del nostro tessuto quotidiano. Una dimensione che entra nella vita moderna, ma non può essere una spiritualità da supermercato. Siamo di fronte a una sfida fondamentale: riscoprire il sacro nelle cose semplici. In tutto ciò che fa capire come l’uomo e il cosmo siano una cosa sola”. “Se non c’è spiritualità – è stata l’analisi dello studioso di esoterismo – viene meno anche l’identità, si eludono le domande fondamentali dell’esistenza e perdiamo il rapporto con la natura. Essere in sintonia con il tutto, anche con il silenzio: questa è la religiosità. Da ciò deriva la tolleranza: lo stesso giorno e notte che può essere vissuta in maniera diversa. Riscoprire la sacralità significa recuperare il dialogo, fratelli con tutti nella differenza. Perché il carattere del divino è la libertà”.

Rudolf Otto ha definito il sacro come mysterium tremendum et fascinans. Il mistero ci affascina, il dubbio presente dentro di noi. Ma è tremendo. “Perché in nome di questo si può fare di tutto. Solo un’etica della responsabilità può salvarci. Si prospetta la necessità di un’etica fatta di dignità, di una fratellanza vissuta, di una carità che non sia parole”. C’è bisogno di etica per irrobustire la responsabilità. In ‘Nathan il saggio’, un dramma scritto dal Fratello Gotthold Ephraim Lessing e pubblicato nel 1779 – ha ricordato Bonvecchio – un ebreo parla al Saladino dei tre anelli. Un padre possedeva un anello straordinario, avuto dal proprio padre e destinato a essere trasmesso al migliore dei suoi eredi. Avendo quest’uomo tre figli e non sapendosi decidere a quale dei tre lasciarlo, scelse di farne realizzare due copie, indistinguibili dall’originale, così da poter lasciare un anello a ciascuno. Morto il padre, i tre non sapevano riconoscere il vero anello e si rivolsero a un giudice, che, interpretando il volere del defunto, li congedò con l’invito a dimostrare nel quotidiano agire di essere ciascuno migliore del fratello, senza pretendere una formale investitura. “Dobbiamo essere i possessori di tre anelli – ha rimarcato il docente all’Università Insubria di Varese – convinti che ciascuno di noi ha l’anello giusto, ma anche l’altro lo ha. E vivere per mille anni in un’etica della responsabilità che ci faccia ritornare da un saggio che magari ci dirà che sono tutti falsi. Ma noi saremo contenti lo stesso”.

“La spiritualità nella sua radice più profonda, è comunicazione tra il divino e noi – ha sottolineato Paolo Gambi – in questi segni c’è tutto, dalle ancestrali ritualità ai linguaggi moderni. Ma qual è il limite? E chi deve porlo? Cosa è spiritualità e dove finisce la superstizione? E’ una questione dell’Occidente. Come il tentativo di trovare linguaggi comuni tra chi vive spiritualità diverse”. In questo percorso, la novità di Papa Francesco sarà forse compresa nei decenni. “Il Papa gesuita ha dimostrato che la sua prima dote è la comunicazione: ha chiesto la preghiera del popolo su di lui e ha scelto di chiamarsi Francesco. Il significato di questo gesto è una Chiesa più partecipata. L’immagine dei due Papi che si incontrano ha frantumato la piramide con la concezione verticistica della Chiesa, si è compreso la lezione dei Padri per i quali il capo della Chiesa è Cristo. Il cristiano – ha sottolineato il giornalista – è invitato sempre a portare Dio nella carne, a dare storia al Vangelo. Oltre la visione clericale e l’autoreferenzialità che questa ha indotto, l’invito è ridare un significato profondo alla laicità, intesa come capacità di superare le diversità e trovare un linguaggio comune”.

Per Stefano Levi della Torre, “c’è un ruolo della laicità, criticare la religione nel senso che la religione è troppo poco trascendente. C’è un’espressione di Giacomo Leopardi che, definendo la laicità incredula, la chiama ‘la metafisica che va dietro alle ragioni occulte delle cose’. L’eroismo della laicità consiste nel fatto di avere delle convinzioni sapendo che verranno superate. Non è la banca dell’assoluto, il laico è uno che può morire anche di convinzioni che sapevano penultime, e sarebbero state spostate”. La spiritualità ha due versanti: il naufragare, l’armonia dell’essere umano nell’universo. E in secondo luogo la coscienza della tragedia greca, l’immensa sproporzione del destino umano rispetto all’universo. “La spiritualità laica – ha messo in chiaro il docente al Politecnico di Milano – deve avere un conflitto corpo a corpo con la religione, nel senso di ‘scalpellare via’ tutto ciò che è caduta di definizioni e simboli, di segni profondi che rimandano ad altro”. In Italia ci troviamo in “un avvento storico di altre religioni, che ci impone un criterio laico per decodificare la convivenza. Un percorso di questo tipo porterà anche a eliminare la base antropologica della corruzione italiana. Esiste infatti una omologia tra il sistema delle raccomandazioni e le raccomandazioni a qualche Santo: il ‘prega per noi’. Il ‘pensaci tu’. E’ un altro elemento corruttivo contro il quale occorre lottare”.

E se Elio Jucci, studioso dei Rotoli di Qumran, ha sottolineato come “l’etica della cittadinanza è libertà e responsabilità. Ricercare il senso della spiritualità e della Scrittura. Sentirsi comunità e responsabili anche di una proiezione verso il futuro”, di forte impatto è stato l’intervento di Younis Tawfik, lo studioso che decise di venire in Ityalia dopo aver scoperto la Divina Commedia di Dante: “L’idea che oggi vige in Europa sull’Islam è medioevale – ha sottolineato lo studioso – la missione del massone, come uomo senza pregiudizi, è quella di cercare la bellezza nella spiritualità e di fare strada all’incontro tra religioni e pensieri diversi”. Uno dei detti di Maometto, ha ricordato, è: ‘Dio ama la Bellezza’. “Se partiamo da questo – ha aggiunto il docente di Letteratura araba all’ Università di Genova – possiamo trovare la bellezza dentro di noi. Non mi assomiglia un Dio seduto su un trono, dieci volte più grande di me. Dio è invece luce su luce. E’ così che si può comprendere la natura vera dell’Islam, che Dante conosceva”. “Siamo in una fase delicata nel mondo islamico – ha avvertito lo studioso – una fase transitoria perché è la lotta tra la troppa fede e la ragione. Da quando è stato seppellito il tentativo di Averroè di conciliare fede e ragione, sono sorti problemi. Le dittature religiose sono molto più gravi delle altre”. Per lo studioso iracheno, “c’è troppa intolleranza religiosa. La cultura può fare molto per avvicinare i mondi diversi. L’errore è quando ci si crede i migliori, per cui gli altri devono accettarci”.



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