Reghini il filosofo della tradizione scomodo per la destra/La Repubblica

Pitagorico, massone, anticlericale, mazziniano, traduttore di Guénon Fu denunciato da Evola a Mussolini perché critico sul regime Ora si pubblicano le sue opere complete. Rendendogli giustizia

di ROBERTO ESPOSITO

C’è da chiedersi come mai la destra italiana, sempre alla ricerca di figure irregolari da inserire nel proprio albero genealogico, non si sia mai rivolta a un intellettuale del rango di Arturo Reghini. La risposta va cercata nella sua stessa biografia. Nato a Pontremoli nel 1878, ha svolto un ruolo di primo piano nella cultura fiorentina dei primi decenni del Novecento che ruotava intorno alla rivista Leonardo e alla “Biblioteca Filosofica”, da lui fondata nel 1903. In stretto rapporto con Papini, ma anche con Giovanni Amendola, è entrato presto nella massoneria, senza mai rinnegare i propri interessi pitagorici ed ermetici che lo hanno fatto apprezzare da personaggi del calibro di René Guénon del quale ha tradotto Il re del mondo e poi di Elémire Zolla. Ha collaborato anche con Julius Evola, con cui però è entrato in conflitto, al punto di essere denunciato da lui al regime fascista che nel 1925 aveva dichiarato illegale la massoneria. Già da allora Reghini era diventato un personaggio scomodo, soprattutto per la sua battaglia anticlericale, sgradita a Mussolini che si apprestava a stipulare il concordato con la Chiesa. Così, sempre più emarginato, Reghini si è autoesiliato a Budrio, dove è morto nel 1946, dedicandosi all’insegnamento di materie scientifiche e alla meditazione. Accanto alla sua lapide, nel cimitero locale, un pentalfa (la stella a cinque punte), una tetraktys (il triangolo sacro pitagorico) e una squadra con compasso indicano con chiarezza l’opzione pitagorica e massonica che lo aveva allontanato dal mondo clerico-fascista. La conoscenza di tale vicenda è adesso riportata alla luce, dopo essere stata a lungo confinata a un ristretto giro di specialisti, dalla meritoria impresa dell’editore Mimesis di dedicare una collana alla pubblicazione delle opere complete di Reghini, di cui sono usciti i primi due volumi, a cura di Moreno Neri, dedicati agli scritti degli anni 1902-1908. Benché si tratti di testi giovanili, già emerge lo straordinario ventaglio di competenze di un personaggio dal profilo controverso, in bilico tra tradizione e radicalismo, ma comunque dotato di tale erudizione, preparazione umanistica, conoscenza delle lingue da farne un intellettuale di primo ordine nel panorama del tempo. Certo, si può restare colpiti dalla sua propensione esoterica, che spinse Papini a definirlo «un vero e proprio mago». Ma il suo esoterismo va inquadrato nella costellazione europea che lega spiritualismo, pragmatismo, simbolismo e psicoanalisi junghiana nella comune reazione al positivismo dominante. Ancora di più conta, nei testi di Reghini, l’interesse per il versante ermetico di autori come Ficino, Bruno, Leonardo, Campanella, che anticipa la successiva “riscoperta” dell’ermetismo rinascimentale da parte dei vari Garin, Kristeller, Yates. Una molteplicità di interessi, la sua, che lo porta ad arricchire il panorama culturale italiano con la traduzione del De Occulta Philosophia di Cornelius Agrippa, ma anche del romanzo di Stevenson Lo strano caso del dottor Jekyll eMr. Hyde. Fondatore e animatore di riviste come Atanòr, Ignis, Ur, l’itinerario di Reghini è tutt’altro che lineare. Fautore dell’intervento dell’Italia nella Prima guerra mondiale, la difesa della tradizione spiritualista lo avvicina alla cultura conservatrice, favorendo un’iniziale illusione anche nei confronti del nascente fascismo. Ma ben presto la sua aspirazione alla libertà intellettuale ha la meglio, spostandolo sul fronte opposto. Il precoce ingresso nella massoneria, dalla quale poi prese le distanze quando ritenne che stesse tradendo la sua ispirazione originaria, ne fa fede. Il suo saggio sull’imperialismo pagano, di timbro mazziniano, testimonia di questa oscillazione, legata all’ambivalenza del mito di Roma, sospeso tra rivendicazione della tradizione dantesca e ambizione imperiale. Ma in Reghini il riferimento alla tradizione non è mai strumentale a indebite finalità politiche. A prevalere è sempre una curiosità intellettuale che collega il riferimento alle origini, in particolare pitagoriche, a un allargamento dello scenario culturale italiano. Per esempio lo scritto di Ro1 / 2 Pagina Foglio 25-06-2025 33 www.ecostampa.it 105085 Quotidiano Tiratura: 118.819 Diffusione: 140.244 berto Assagioli suo amico e sodale: un suo scritto compare insieme ad altri testi (a cura di Massimo Bianchi) nell’appendice del secondo volume con il titolo Per un nuovo umanesimo ariano non ha nulla a che vedere con il razzismo nazifascista. Si inscrive piuttosto nella tradizione indoeuropea di lingua sanscrita, già indagata da Goethe, Herder, Schlegel e Schopenhauer alla ricerca delle fonti originarie della nostra civiltà. L’equivoco che finora ha avvolto in una cortina di silenzio l’opera di Reghini è che l’esoterismo sia necessariamente legato ad ambienti di destra, mentre ha avuto relazioni non meno significative con il mondo democratico, radicale e perfino socialista. Questa nuova edizione delle opere ne fornisce una chiara testimonianza.



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