Massoneria, il Gran Maestro apre la sede del Grande Oriente: “Tra Garibaldi e Nathan qui si è fatta la storia”/Il Tempo


Filippo Caleri
 09 luglio 2025

La sede del Grande Oriente d’Italia, una delle principali espressioni della massoneria italiana, è a Roma sul versante del colle Gianicolo che guarda al Cupolone. Una palazzina del primo ’900 immersa nel verde a un passo dalla via Aurelia, chiamata Villa Il Vascello. Entrando, alla fine del cammino di un vialetto ben curato, si arriva all’ingresso dell’edificio principale, e per il profano è già una piccola sorpresa: tra le colonne dell’atrio spicca il busto di Giuseppe Garibaldi. Sì, proprio lui, l’eroe dei due mondi, che fu a capo dell’organizzazione massonica e che, a quel tempo, contribuì anche con le sue imprese a fare l’Italia.Davanti alla porta ad attendere c’è il Gran Maestro, Stefano Bisi, al suo quinto mandato, tornato a guidare i liberi muratori dopo una querelle giudiziaria che ha portato una frattura interna tra le logge, e sulla quale lui non intende far commenti per non alimentare polemiche. «Vogliamo raccontare una storia che appartiene al Paese. Scrollarci di dosso l’immagine di società segreta, occulta, legata alle mafie e a chissà quali deviazioni democratiche. Chi sbaglia c’è dappertutto e, se succede, interveniamo prontamente, ma nel nostro caso basta che ci sia il solo sospetto per condannare un’associazione che ha partecipato alla creazione della Nazione».

Così apre il suo colloquio con il Tempo il Gran Maestro. «È iniziato un percorso per far conoscere cosa è realmente la massoneria, cosa può rappresentare la luce del nostro pensiero in questi tempi oscuri. E soprattutto aprire le porte a chi vuole avvicinarsi alla nostra storia per conoscerla senza pregiudizi. Perché – aggiunge – per molto tempo non appena un qualunque cittadino toccato da un’indagine giudiziaria fosse stato iscritto a un’obbedienza, anche decenni prima e poi addirittura cancellato, l’equazione dei giudici e dell’opinione pubblica era sempre la stessa: antidemocratici».

La ferita aperta

Una condanna che non è mai venuta meno e che trova la sua massima espressione il primo marzo del 2017 quando lo Stato italiano mandò la Guardia di Finanza a perquisire e sequestrare gli elenchi degli iscritti del Goi. «Un atto arbitrario che stigmatizzai, iniziando una battaglia per la salvaguardia dei diritti all’associazione, garantita dalla Costituzione non solo alla nostra comunione ma a tutti i cittadini» chiosa il Gran Maestro che, da allora, ha dedicato la sua missione a denunciare i fatti che portarono la Commissione Antimafia presieduta dall’onorevole Rosy Bindi a «sostenere l’assunto delle infiltrazioni mafiose nella massoneria senza porsi alcun dubbio» cita Bisi ricordando un suo pamphlet dedicato a proprio a quella vicenda intitolato: «C’è un giudice a Strasburgo».

Già, è stata la Corte europea dei diritti dell’uomo, dopo sette anni di procedimento, a certificare che quell’atto di sequestro ordinato da un organismo parlamentare, e dunque dalla più alta espressione della democrazia: «Non era conforme al diritto, né era necessaria in una società democratica». Acqua passata ma la ferita resta aperta. Come dimenticare i momenti dell’irruzione dei finanzieri alla ricerca spasmodica delle liste, le ore passate con gli uomini in divisa che frugarono finanche nei bagni, nei giardini e nella cucina. Quella dalla quale alle Fiamme Gialle, stremate da vacue ricerche fino a notte fonda, arrivarono panini e bibite per rifocillarsi, quasi come atto di pacificazione transitoria per rimediare a un destino non cercato da entrambi.

Palazzo Giustiniani

Ma se una parte di giustizia è fatta, ora Bisi e i fratelli del Goi attendono un’altra sentenza importante. Il titolo potrebbe essere: quei 140 metri quadrati che marcano la distanza tra la massoneria e lo Stato italiano. Un caso che porta il nome di un edificio del potere: Palazzo Giustiniani a Roma, oggi sede del Senato, ma in realtà di proprietà, secondo sentenze mai pienamente attuate e puntualmente rinviate, del Grande Oriente. Che dopo averlo acquistato nel 1911, se lo vide requisire dal regime fascista e mai restituire dalla Repubblica, sebbene una transazione con palazzo Madama prevedesse l’uso di 140 metri quadrati per allestirvi il museo dedicato alla storia della massoneria e al suo contributo alla Repubblica Italiana. «Un edificio altamente simbolico per noi. Un nome impresso nel corpo e nella mente dei liberi muratori perché 80 anni della nostra storia sono passati da lì» spiega il Gran Maestro Bisi. Che non è mai entrato nel palazzo dopo la sua iniziazione perché, nel 1982, il custode Mario Sacconi girò la chiave del portone per l’ultima volta prima di consegnare le chiavi allo Stato italiano.

«È il ricordo di quest’uomo che mi ha spinto a fare ogni sforzo per ritornarci» confessa il padrone di casa. Una vicenda che ha risvolti complessi che va dai ricorsi al Tar da parte del Goi per riacquistare la proprietà dell’immobile a continue missive con i diversi presidenti del Senato alla ricerca di un compromesso. Che arrivò nel 1988 quando l’allora numero uno di Palazzo Madama, Giovanni Spadolini, annunciò l’acquisizione completa del complesso Giustiniani con la postilla di rendere omaggio al contributo del Goi nella storia risorgimentale con il patrocinio per la creazione di un museo dedicato. Un impegno, suggellato anche con una piantina dei locali da adibire allo scopo, ma rimasto lettera morta. Così la parola è tornata alle carte bollate con lo stesso iter tenuto nel caso degli elenchi sequestrati: dopo la giustizia amministrativa e civile ora la Suprema Corte e poi la Corte Europea. «Non c’è nessuna voglia di rivalsa, vogliamo solo tornare con la nostra storia là dove la storia si è fatta. Abbiamo costruito anche noi l’Italia unificata e non può essere dimenticato. Le giovani generazioni devono conoscere cosa abbiamo fatto». Ma allora perché tanto ostracismo? Bisi azzarda una risposta: «Diffidenza verso un mondo ancora percepito come oscuro, con una cattiva reputazione, con infiltrazioni criminali e riti misteriosi. L’istituzione repubblicana teme accostamenti, cortocircuiti informativi e attacchi del tipo: la massoneria si è presa il Senato e la democrazia. Ma c’è un errore di fondo. Noi non facciamo magie, predichiamo l’uguaglianza e la crescita spirituale delle persone. Nelle nostre logge il benzinaio e il commerciante sono seduti accanto al grande manager e sono tutti sullo stesso piano». Ma come vincere il pregiudizio? «Ve lo faccio vedere».

Il MUSEO

Il colloquio finisce ma non la giornata con Bisi che (si perdoni il gioco di parole) apre a Il Tempo le porte del Tempio. Massonico ovviamente ma che, a dispetto della mitologia, in realtà, non ha statue e affreschi esoterici ma la semplicità di una stanza assolata, un lungo tavolo con una sedia istoriata agli estremi, e i ritratti dei maestri che si sono succeduti dalla fondazione del Goi, tra i quali quello di Ernesto Nathan, sindaco illuminato della Roma di fine ’800 alle prese con il salto della Capitale nella modernità. Unica concessione al colore è un gagliardetto con i simboli classici: squadra e compasso. Ma sennò che massoneria sarebbe. Il Gran Maestro spiega, entrando nella seconda sala, che l’associazione è aperta ai profani e la sala della biblioteca ne rappresenta l’esempio più evidente. «Qui ospitiamo presentazioni e ospiti illustri che possono portare contributi alla nostra filosofia e che abbiano sete di conoscenza» spiega Bisi. Ma è al secondo piano del Vascello che la curiosità raggiunge l’acme.

In una vetrina campeggia il poncho di Garibaldi. Sì, il copriveste in stile sudamericano del mitico comandante dei Mille, e il suo cappello con tanto di certificazione di autenticità degli eredi. E poi collari con simbologie, scritti e lettere autografate dall’eroe dei due mondi. In quelle teche c’è un pezzo di storia risorgimentale, quando gli italiani non c’erano ancora e sì, l’Italia si stava facendo. Il viaggio nei segreti, non più tali, continua nella sala del consiglio del Goi, con i cavalieri in metallo sui posti dei vari partecipanti e ancora una volta a capotavola la seduta del Gran Maestro. Infine la finestra dalla quale, tracciando idealmente una linea retta, si vede e quasi si può toccare il Cupolone della Chiesa cattolica. Antagonista storico. In fondo così lontani ma qui, fisicamente almeno, così vicini.

La visita finisce nel parco dove cresce il tiglio più antico di Roma, probabilmente un piccolo arbusto quando Garibaldi lottava per la libertà della Repubblica romana. «Ma quali riti, questo siamo noi – conclude Bisi –: la storia dell’Italia. Lavoriamo per combattere l’oscurità con la luce della conoscenza. E ora ci faremo conoscere meglio». Un annuncio che è già realtà. Già le porte del Vascello sono aperte in particolari occasioni ai cittadini interessati a conoscere le vestigia storiche e far passare il messaggio che la massoneria non è un mostro ma una filosofia. Fine.

Stesso sentiero per l’uscita. È ancora mattina. Non si esce certo a riveder le stelle ma a Villa del Vascello c’è il sole caldo del luglio di Roma, che resta comunque una bella luce.



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