(La Repubblica) Nuova luce sulla filosofia tardoantica. Parla Riccardo Chiaradonna

Da vent’anni a questa parte, in Italia assistiamo a una progressiva rivalutazione della filosofia tardoantica. Quel periodo che va dal II secolo d.C. fino al VI e che, nella storia del pensiero, è segnato da filosofi come Plotino, Porfirio e Proclo, non è più considerato con disinteresse, come se, prima della filosofia medievale, ci si potesse fermare ad Aristotele o, al limite, a Cicerone. Lo dimostra oggi la pubblicazione della prima opera scientifica a carattere divulgativo mai uscita in Italia sull’argomento.
Filosofia tardoantica, a cura di uno dei massimi studiosi di Plotino: Riccardo Chiaradonna (Carocci, pagg. 323, euro 28). Esce proprio mentre Adelphi porta in libreria una bella edizione dello scritto Sui simulacri di Porfirio (a cura di Mino Gabriele, trad. Franco Maltomini, pagg. 287, euro 17).
«Già il termine “neoplatonismo”, con cui gli illuministi definirono la filosofia tardoantica, conteneva un giudizio negativo» spiega Chiaradonna, docente di filosofia antica a Roma Tre.
«Filosofi eclettici, contaminati da elementi irrazionali e magici, ben lontani dalla purezza di Platone. Filosofi di second’ordine, dunque. Un’opinione dura a morire. Pensiamo solo che in Italia, alcuni scritti neoplatonici circolavano, una trentina d’anni fa, in modo semi-clandestino, pubblicati da editori neonazisti. Il sommo interprete era Julius Evola. Tutt’altro livello avevano invece gli studi influenzati dallo spiritualismo e dalla metafisica cristiana. Studi comunque molto orientati, la cui risonanza era limitata, a causa del clima culturale caratterizzato dalla contrapposizione tra cattolici e marxisti».
Il momento di svolta arriva con l’estinguersi di quel clima.
«Esatto. Si è smesso di pensare che se studi Plotino o Proclo sei mezzo religioso. E si è cominciato a capire che questa filosofia è ricchissima e che i vari interessi dei neoplatonici non sono in contrasto tra loro. Consideriamo Giuliano l’Apostata: fu generale, imperatore, mistico e filosofo. Un’unità profonda. Oggi crediamo che lo slancio mistico e il rigore razionale siano incompatibili. Ma alla fine dell’antichità i filosofi che evocavano i demoni erano gli stessi che studiavano la logicadi Aristotele. Un fenomeno strano per noi. Ma che può rivelarsi molto affascinante».
Oltre a questa particolare ricchezza qual è il principale contributo del Neoplatonismo alla storia del pensiero?
«La filosofia antica passò alle epoche successive nella forma datale dai neoplatonici: Dante, la Scolastica, il Rinascimento sarebbero impensabili senza la filosofia tardoantica. Del resto, quel che noi leggiamo della filosofia antica ci arriva mediato dai neoplatonici. Le opere studiate in questo periodo furono infatti quelle che sopravvissero. Per questo possediamo gli scritti di Platone e di Aristotele, mentre non abbiamo quelli degli stoici. Ai neoplatonici si devono concezioni geniali. Solo un esempio. Plotino fu il primo a comprendere l’importanza dell’inconscio per la nostra vita psichica. Le sue pagine sulla coscienza e la memoria sono potentissime».
Però la forma principale di questa filosofia fu il commento. Che in generale siamo portati a ritenere una forma sterile, non originale.
«L’esegesi caratterizzerà la filosofia fino a tutto il Medioevo. Ma è attraverso l’esegesi che si trasmettono idee originali. Facendo proprie e riplasmando le autorità antiche, su tutti Platone e Aristotele. È insomma la complessità che segna questi filosofi. Perderla di vista ha portato a sottovalutarli».
E questa sottovalutazione appartiene definitivamente al passato?
«C’è un nuovo problema. I neoplatonici erano spesso anticristiani. Pensiamo a Porfirio, uno degli ultimi intellettuali enciclopedici dell’antichità. Fu filosofo raffinato, filologo, poeta, sacerdote di culti pagani e polemista anticristiano. La sua opera perduta che Adelphi pubblica faceva probabilmente parte di un progetto ideologico anticristiano. Ebbene, oggi assistiamo a una nuova moda. Vedere in questi spunti anticristiani l’ultimo baluardo della libertà di pensiero. Così si inneggia a Ipazia, per esempio, di cui non sappiamo quasi nulla. Ma, valutati dal nostro punto di vista, i neoplatonici non erano meno intolleranti dei cristiani, loro avversari. La libertà di pensiero come la intendiamo noi non esisteva».



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