È uscito il n. 5 di Oriente Occidente, collana di studi tradizionali d’Oriente e Occidente

Scegliere il titolo di un’opera di René Guénon come intestazione di questa Collana, obbedisce all’esigenza di sottolineare il doppio registro che informa gli scritti che pubblicheremo. Da un lato, il riconoscimento dell’Autorità tradizionale dovuta all’Autore francese, dall’altro, la prospettiva di individuare il terreno sul quale l’incontro tra Oriente e Occidente possa effettivamente realizzarsi.
Già nella Premessa al libro in questione, Guénon ha avuto cura di precisare come le differenze esistenti tra l’Oriente e l’Occidente, pur reali, non possono dirsi del tutto insormontabili. Sempre che naturalmente la distinzione tra l’uno e l’altro sia ricondotta alla sua reale portata. E non è certo sottolineando peculiarità e accidenti di questo e di quello che è possibile trovare un terreno comune di incontro, semmai le possibilità di evitare divisioni sono tanto maggiori quanto più si abbandona una visione particolare per una dalla connotazione più universale.
È anche per questo che i suggerimenti prodigati da Guénon, diffusi in tutta la sua opera, vertono soprattutto sul riconoscimento del valore dell’ “intellettualità pura” quale dominio comune all’uomo di ogni epoca e di ogni latitudine, l’unico che permetta di riportare ordine sia al suo interno sia nell’ambiente in cui vive, soprattutto se non si vuole rimanere intrappolati in una mentalità che fa sembrare indispensabili gli assunti in continua trasformazione di qualche scienza o filosofia, veri totem moderni. La sfera dell’intellettualità pura è l’unica che permette di “mantenere un’assoluta indipendenza …sfera che del resto è quella dei principi essenziali e immutabili e dalla quale deriva più o meno direttamente tutto il resto. Da essa deve necessariamente cominciare il raddrizzamento di cui parlavamo poco fa: se si prescinde dal ricollegamento ai principi, non si possono ottenere che risultati meramente esteriori, instabili e illusori”.
Le possibilità di intesa sono quindi imprescindibili da questo “accordo sui principi”, proprio perché la loro natura non è prerogativa né dell’Oriente né dell’Occidente ma propriamente universale, origine comune a tutte le dottrine autenticamente tradizionali. Parlare di Tradizione richiede però una precisazione ulteriore perché, anche in questo caso e rimanendo nel solco delle dichiarazioni testé riportate, non si tratta di preferirne una specifica sulla scorta di considerazioni di convenienza: è alla Tradizione Primordiale che bisogna rivolgersi se si vuole recuperare quello “spirito tradizionale” che in fondo è tutt’uno con la conoscenza di quei “principi” metafisici dei quali è richiesta la condivisione. Invitiamo pertanto a considerare in questa ottica gli autori e gli scritti che proporremo.
Nonostante le diversità con le quali si presentano ai diversi popoli, le tradizioni spirituali trovano la loro sorgente comune nella Tradizione Primordiale e questa all’origine non umana dalla quale essa stessa deriva.
  È importante rimarcare questa relazione perché si intravede quella “dottrina dei cicli cosmici” applicando la quale si potrebbero ridimensionare le pretese di superiorità di qualche forma tradizionale su un’altra, basate esclusivamente su aspetti secondari e contingenti o sulla scorta di una interpretazione parziale della componente dottrinale di ciascuna Tradizione. Riscontrare differenze, opposizioni o addirittura contraddizioni nella Dottrina è in genere frutto di una visione prettamente “formale” delle cose e solo collocandosi dalla parte dell'”intellettualità pura” si riuscirà a riconoscere la Verità da cui tutte derivano. Tuttavia se l’esistenza delle differenti Tradizioni, con le Rivelazioni a loro proprie, risponde ad una necessità legata a luoghi, tempi, e popoli, il superamento della “forma” dipende dalla capacità di non attribuirle più una pregnanza essenziale e con ciò di connotarla spiritualmente e universalmente. Questa attitudine al superamento della particolarità propria è contemplata in ogni Tradizione dalla sua “duplice essenza, religiosa e metafisica…e si può definire esattamente exoterico l’aspetto religioso della dottrina…ed esoterico il suo aspetto metafisico”. L’ambito dell’esoterismo è quindi connesso alla funzione di comprendere e sviluppare la dottrina, ossia di “conoscere” e non solo di accettare per “fede”, come invece è per ogni religione o exoterismo.
Su questo poggia il fondamento delle diverse Organizzazioni iniziatiche che hanno operato in passato così come nel mondo attuale, per difendere quella “Terra Santa” sede della Tradizione Primordiale, nonché tutti quei centri spirituali secondari da questa derivati. Ecco allora che l'”oggetto” del lavoro iniziatico, ossia la conoscenza dei principi metafisici, per la loro natura spirituale, non permette l’accostarsi a questi con una finalità individuale. L’attitudine a compiere questo lavoro, nonché la dimostrazione che l’ambito dei principi è inattaccabile da chicchessia, diviene così il primo discrimine per poter accedere all’iniziazione. In verità la natura di questa attitudine coinvolge, anche se a gradi diversi, sia l’iniziato sia il profano: per il primo costituirà l’argine indispensabile per dirsi veramente custode della Tradizione, per il secondo la credenziale migliore per potervi partecipare. Guénon ha dato un nome a questa attitudine: cambiare mentalità.
  Spesso però si tende a circoscrivere o minimizzare l’ambito entro il quale si esercita il potere di “essere” in un certo modo. Quando si parla di mentalità, infatti, il pensiero cade immediatamente sull’idea che ciascuno si può fare su un dato argomento o tuttalpiù sulla capacità di esprimere una certa profondità di vedute. In realtà l’uomo rivela la propria direzione interiore sulla scorta della mentalità. Si pensi, come esempio, alla sterile speculazione del mondo accademico, all’affannarsi dei filosofi, degli antropologi, degli storici e degli “scienziati” delle religioni, degli “orientalisti” e del “mondo della cultura” in generale nel tentativo di spiegare dal punto di vista umano, ma forse sarebbe meglio dire profano, dunque dal “di fuori”, questioni che per natura appartengono alla sfera del Sacro. Non si può dunque fare a meno di riscontrare che l’istruzione, uno dei punti di forza del mondo moderno fatto assurgere al rango di valore fondamentale, celi in sé un pericolo per l’aspirazione autenticamente spirituale: infatti “l’educazione profana impone determinate abitudini mentali delle quali può essere più o meno difficile sbarazzarsi in seguito; è fin troppo facile constatare che le limitazioni e financo le deformazioni che sono l’abituale conseguenza dell’insegnamento universitario sono spesso irrimediabili; e per sfuggire completamente a questa deleteria influenza occorrono disposizioni particolari che non possono essere se non eccezionali”.
 In virtù di quel che è stato detto finora, e ancora più sulla scorta degli scritti di Guénon da cui abbiamo tratto qualche spunto, non sarà sfuggito che quando si parla di “Tradizione Primordiale” e di “Terra Santa”, la loro collocazione in tempi remoti dev’essere intesa in termini simbolici essendo questo il linguaggio più adeguato ad esprimere concezioni lontane da una mentalità profana. Pertanto la “primordialità” va vissuta soprattutto come quella semplicità che la rende vicina al Principio stesso. In questa accezione è visibile anche un’indicazione molto precisa sull’attitudine dell’aspirante all’iniziazione, nonché di colui che dopo averla ricevuta intenda far lavorare in sé l’influenza spirituale.
  Questa breve presentazione non ha altro scopo se non quello di tratteggiare la direzione verso la quale saranno consacrati i lavori che pubblicheremo, sperando che emerga con la stessa chiarezza anche dalle scelte che di volta in volta verranno operate. D’altro canto siamo sufficientemente consapevoli della particolare contingenza in cui il mondo attuale si trova e perciò non possiamo fare altro che condividere senza riserve quello che Guénon scriveva nella “Conclusione” di Oriente e Occidente: “noi ci rivolgiamo a coloro che possono e vogliono a loro volta comprendere, chiunque essi siano e da qualunque parte vengano, ma non a coloro che l’ostacolo più insignificante o più illusorio basta ad arrestare, che hanno la fobia di certe cose o di certe parole, o si sentono perduti appena oltrepassano certi limiti convenzionali e arbitrari. Non vediamo, infatti, di quale utilità potrebbe essere per l’élite intellettuale la collaborazione di queste persone dall’animo timoroso e inquieto; chi non è capace di guardare in faccia ogni verità, chi non si sente la forza di penetrare nella “grande solitudine”, […] non potrebbe andar molto lontano nel lavoro metafisico di cui abbiamo parlato e da cui tutto il resto dipende strettamente”.
  Il rispetto di un equilibrio tra le diverse componenti dell’uomo, e quindi la necessità di non trascurarne nessuna per rendere effettiva questa giusta proporzione, trova una corrispondenza nel tentativo che queste pagine si propongono: mostrare la bellezza di una meta finalmente realizzata – adombrata nel testo di Ibn ‘Arabî – e non trascurare le difficoltà che si possono incontrare per giungervi, come ci ricorda l’ultimo studio del presente volume.  La fascinazione che il simbolo e i suoi commenti più approfonditi possono esercitare, non devono infatti far dimenticare che la vera comprensione non può essere disgiunta da una realizzazione. E per arrivare a questa, qualunque forma assuma il percorso scelto, l’attitudine del cercatore è saggiata anche dalle sue reazioni allo spaesamento, indotto ad arte o naturale, conseguente all’insinuarsi del dubbio o allo stupore che colpisce la sua mente quando le sue sicurezze vengono minate e deve cercare altrove il centro che le garantisce stabilità. Ecco allora che ancorarsi all’idea di poter afferrare la dottrina esposta dai Maestri indiscussi delle diverse forme tradizionali, non deve distogliere dal pericolo insito nell’illusione di chi pretende la Conoscenza senza che ciò susciti in lui un coinvolgimento effettivo e totale.
  Il cammino descritto da Dante, esemplare per ogni amante della Verità, prima di entrare nelle “segrete cose”, mostra l’evidenza di un metodo da seguire per salire il “dilettoso monte”. Se riconosciuto e applicato, le spinte a proiettarsi in avanti lungo la Via sono commisurate dall’osservazione dello stato in cui ci si trova e che comporta una Legge cui obbedire e conformarsi, come suggerito, in modi diversi, dai saggi qui pubblicati. 

Vedi il sommario del n. 5



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