Gran Loggia 2006 “Laicità è libertà”

Gran Loggia 2006
“Laicità è libertà”
Allocuzione del Gran Maestro Gustavo Raffi

Gentili Autorità intervenute, Signore e Signori, Carissimi Fratelli,

il Grande Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani è lieto di accogliervi nel tempio dei Liberi Muratori per l’annuale allocuzione che si tiene nel quadro delle manifestazioni connesse alla Gran Loggia, evento per noi estremamente importante ed il cui impianto mostra con patente evidenza il consolidamento di una scelta culturale intrapresa dalla più importante e numerosa Obbedienza regolare liberomuratoria italiana, ovvero quella di essere istituzione trasparente, aperta e dialogante con e, soprattutto, nella società civile italiana ed europea. Il nostro modo di intendere l’esperienza massonica, infatti, ci fa sentire soggetti a pieno titolo della modernità e non cultori di una dimensione occulta e sfuggente, di cui il mondo esterno non comprenderebbe il senso. Al contrario, come esplicitato negli statuti del G.O.I., è nostro fermo desiderio che le finalità della nostra appartenenza libero-muratoria siano pienamente comprensibili da parte dell’opinione pubblica e di tutte le istituzioni in essa attive, giacché il nostro intento è quello di contribuire in modo costruttivo al-l’edificazione di una coscienza di pace, tolleranza e libertà, al pieno servizio, quindi, degli altissimi ideali contenuti nella Carta Costituzionale. Proprio per tale ragione, in questa come in molte altre occasioni, desideriamo rivolgerci al Paese per esplicitare contenuti, valori, princìpi, ma anche riflessioni e suggerimenti che sono emersi nel corso dei nostri lavori durante l’anno passato e che continueranno in quello presente con ulteriori contenuti, sebbene essi si ispirino alla ininterrotta tradizione iniziatica e spirituale della Massoneria europea nata agli albori del secolo dei Lumi. La Libera Muratoria è un’officina di libertà, innanzitutto intellettuale e spirituale; essa costituisce un luogo di ricerca esoterica, perché, attraverso simboli e riti, i singoli cittadini iniziati all’Arte latomistica sono chiamati a mettersi in continua discussione ed a procedere su di un cammino di inesauribile perfezionamento interiore. La Massoneria si propone esplicitamente come una sorta di palestra per spiriti liberi, che da punti di vista diversi hanno trovato nel dialogo uno strumento di mutua educazione permanente. Da questo punto di vista, la Libera Muratoria aspira a dare un contributo forte, ma non dogmatico, alla costruzione dell’autonomia critica dei singoli, i quali non sono chiamati ad eseguire ordini o ad aderire ad un punto di vista unico, ma a confrontarsi tra loro e con il mondo reale, esaltando i valori dell’eguaglianza, della fratellanza e della libertà, che insieme fondano i presupposti intangibili della moderna democrazia. Il progetto massonico non ha, pertanto, velleità cospirative o ambigue, né agisce nell’ombra per scopi incomprensibili. Esso mira esplicitamente, lo ripeto, a formare ed educare un cittadino maturo, capace di affrontare le sfide poste dalla complessità sociale in quest’epoca di angosce e conflitti, che sempre più emergono nella postmodernità, mettendo spesso in crisi la sicurezza e l’equilibrio del mondo. Quali sono, allora, questi particolari valori su cui i Massoni si ritrovano, pur così diversi tra loro per lingua, cultura, religione, opinioni politiche e filosofiche? Qual è il mistero che tiene insieme, in una secolare catena d’unione, così tanti fratelli, che, altrimenti, mai si sarebbero incontrati nella vita profana? Quale il vero segreto di questa unione? Nella tradizione alchemica, il vero iniziato non cerca l’oro profano ma la trasmutazione profonda della sua ipseità più vera e intima, per liberarla e sanarla dalle incrostazioni e delle contaminazioni che altrimenti trascinerebbero l’umanità verso percorsi oscuri e tenebrosi. Così, il vero massone percorre la sua strada cercando la luce, perché è mosso dalla certezza che egli non detiene la conoscenza assoluta e che, quindi, gli altri, anche i più diversi, sono per lui interlocutori indispensabili e preziosi al fine di potersi avvicinare ad essa. Egli sa, infatti, che l’Ordine massonico non possiede affatto una verità rivelata – ed a tal proposito non smetteremo mai di ribadire che la Massoneria non è né una religione né una setta che possieda una sapienza teologica propria da imporre agli altri -, ma sa anche che la Massoneria, grazie al suo “saper di non sapere”, offre uno spazio di dialogo per avvicinarsi, senza paraocchi e steccati irremovibili o dogmatici, alla verità. Il primo segreto massonico si rivela, allora, nella capacità di ascoltare, la virtù fondamentale richiesta all’apprendista libero muratore che, arrivato dalla vita profana carico di tutte le sue conoscenze, è invece obbligato al silenzio, affinché apprenda ad ascoltare gli altri e, quindi, solo successivamente a dialogare con essi. Infatti, in loggia, non si deve convincere, non si deve convertire, non si deve uniformare nessuno. Ciascuno espone, dopo averlo prudentemente meditato, il suo punto di vista, proposto agli altri come un vero e proprio dono di sé, che egli offre alla sua comunità e non come soluzione finale e definitiva nel cammino della conoscenza.

La parola, l’ordine del discorso, intesi come estrinsecazione di una propria intuizione, sempre superabile, criticabile, falsificabile se necessario, ossia come pensiero fecondo in movimento ed in un continuo processo di evoluzione, costituiscono, pertanto, il secondo segreto della nostra esperienza.
Ciò serve non solo a garantire la libertà individuale del singolo, ma anche a sottolinearne la responsabilità ineliminabile. L’iniziato ascolta, interviene, suggerisce, si corregge, procede nelle sue riflessioni e finalmente agisce secondo la sua coscienza, plasmata attraverso un metodo dialogico, critico e aperto. È così che, a partire dal ‘700, uomini di estrazione e formazione differente hanno appreso la prima grande lezione della modernità, quella della autonomia soggettiva di pensiero e giudizio, praticata tra eguali, nonostante le allora radicate differenze di censo e di religione. Tale prassi ha fondato e scolpito in modo indelebile la nostra concezione della laicità, vissuta non come antagonismo alle fedi, ma come terreno comune di dialogo e di sociabilità condivisa nonché condivisibile tra soggetti diversi, ma non per questo antagonisti. Andare d’accordo quando si è tutti della stessa opinione è molto facile; è un esercizio che non costa fatica, ma che allo stesso tempo non porta grandi meriti. Costruire un territorio di mutua riconoscibilità, di reciproca legittimità, di identità trasversale, di rispetto interculturale ed interreligioso, questo è stato lo sforzo ed allo stesso tempo il successo straordinario realizzato dalla Massoneria nei suoi esiti migliori ed autentici. Tale risultato ha scatenato ostilità e persecuzioni di ogni tipo, sia da parte di quelle religioni che vi hanno ravvisato non solo un pericolo per le proprie teologie (nonostante il fatto che la Libera Muratoria nascesse in Inghilterra come istituzione strettamente ispirata dalle dottrine cristiane), ma anche per motivi molto concreti, ossia di natura politico-sociale e politico-economica e non prettamente spirituale, giacché le prime logge costituivano, come la moderna storiografia ha messo definitivamente in luce, un fecondo laboratorio della democrazia moderna, del parlamentarismo, del superamento delle classi sociali e dell’intolleranza religiosa. Non è un caso, quindi, che le più importanti e significative carte costituzionali dei paesi occidentali, oppure che la “Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo”, si siano ispirate tutte in modo più o meno diretto a princìpi palesemente massonici e che siano state redatte con il concorso determinante dei Liberi Muratori attivi sulla scena internazionale tra ‘700 e ‘800. Per questi motivi, la profonda attenzione dedicata dalla Massoneria universale, ed in particolare da quella italiana, riguardo al tema della laicità è rimasta sempre viva, anche se oggi, in modo quasi paradossale, tale costante viene ad assumere un’attualità molto più scottante e pregnante che nei decenni passati. Abbiamo, infatti, tutti assistito, ed in modo sempre più evidente attraverso i vorticosi cambiamenti indotti dalla globalizzazione, ad un violento ritorno del peso assunto dalle religioni non per i profondi valori etico-morali e spirituali ad esse connessi, ma per il loro sempre più frequente voler agire sul piano prettamente giuridico e istituzionale. Da più parti, anche tra laici pentiti dell’ultim’ora, si afferma che la laicità moderna stia cantando il canto del cigno. Fondamentalisti di diversa ispirazione e tradizione hanno già preparato un ampio repertorio bandistico per questo funerale. Ciò risulta preoccupante, poiché, una volta finito il funerale, le diverse bande smetteranno di suonare insieme ed inizieranno, come già avvenuto in passato, ad intonare roboanti marce di battaglia, sempre ed immancabilmente in nome di Dio, nella vana certezza di riuscire a trionfare l’una sull’altra. Ma se, di fatto, si estinguesse la tanto esecrata laicità, lo stesso dialogo interreligioso si tramuterebbe in un braccio di ferro non tanto tra teologi ed intellettuali, ma tra istituzioni politico-religiose, che finirebbero per negoziare i propri spazi reciproci in modo proporzionale alle proprie forze. In questo senso, noi vogliamo sottolineare un concetto fondamentale: la laicità intesa come spazio di tutti, condiviso e sicuro, garantito e garantista, e non come una sorta di terra di nessuno, posta tra due linee di trincea, dove tutto può accadere con inaudita violenza, è e resta al servizio non solo dei cittadini, ma anche e soprattutto delle Chiese e delle comunità religiose. Essa, infatti, attraverso la neutralità dello Stato, rimane uno strumento di salvaguardia per tutti ed impedisce che una visione fondamentalista della propria verità si tramuti in un argomento per legittimare l’oppressione o l’eliminazione dell’altro. Parliamo di laicità e non di laicismo fondamentalista, né di estromissione delle religioni dallo scenario sociale e culturale della postmodernità. La nostra concezione della laicità si oppone apertamente ad ogni riesumazione dello Stato Etico, in qualsivoglia versione, iper-razionalista, materialista o confessionale. In una società aperta, il contributo critico delle teologie, dei valori religiosi e comunitari, rappresenta senza dubbio una risorsa importante, giacché nessuno vuole cancellare la storia e la tradizione dei diversi paesi. Allo stesso tempo, però, la pretesa di uniformare e subordinare le leggi dello Stato ad una visione teologale esclusiva costituisce un pericolo molto serio ed alquanto evidente.

La funzione della laicità moderna non è quella di scardinare le leggi o i sacramenti di questa o quella fede, ma di stabilire, in modo equidistante, una serie di norme che salvaguardino la libertà indelebile dell’individuo dall’interferenza di altri poteri non pubblici e statali al contempo miranti ad orientare il diritto secondo princìpi che non scaturiscono affatto dalla dialettica interna ad una società aperta, ma da una fonte esterna allo Stato stesso, la quale, invece, deterrebbe, nella sua infallibilità, un’autorevolezza divina e, quindi, indiscutibile. Quanto accaduto nel campo della bioetica e soprattutto della fecondazione eterologa, con particolare riguardo per la discutibile determinazione dello statuto ontologico dell’embrione che ne è scaturita, ci sembra molto discutibile. La legislazione del paese si è trovata a doversi conformare a princìpi fondamentalmente di carattere teologico, senza che opzioni filosofico-religiose, etiche e giuridiche di altra natura ispirativa avessero un qualche ascolto; e ciò, nonostante le circostanziate denunce di ampia parte della comunità scientifica, che ha sottolineato l’oscurantismo in cui veniva condannata tanto la nostra società sul piano dei diritti individuali, ma anche la stessa ricerca scientifica, che, di fatto, è stata imbrigliata ben al di là di quella serie di minima moralia che erano ampiamente condivisi tra le parti in causa. I diritti delle donne e dei nascituri sono stati così anteposti ad una sacralizzazione a priori dell’embrione, mentre la negazione della fecondazione eterologa si è fondata su criteri moralistici, rispettabili, forse anche condivisibili da parte dei singoli, ma non per questo imponibili per legge a tutta la società civile. Riteniamo che vi siano temi sui quali la scelta degli individui, difficile, dolorosa, contraddittoria, debba trovare garanzie e non soluzioni dogmatiche di natura religiosa, valevoli per una fede, ma non per altre o per coloro che si ispirano ad altre opzioni di carattere etico-filosofico. Non si dica o pensi, a seguito di tali riflessioni, che la Massonerianon difenda la vita e non la tuteli. Una tradizione secolare di martiri caduti a difesa dei diritti umani e civili, contro la tortura, la pena di morte, l’intolleranza, l’ineguaglianza, incarnata dalla Libera Muratoria, lo dimostra ampiamente. Noi abbiamo intrapreso questo cammino, quando altri inquisivano chi parlava di libertà di stampa e di ricerca, di libertà sindacali e sociali, ma anche semplicemente di autonomia della propria coscienza. Il problema è come e con quali strumenti un valore fondamentale come quello della vita e della felicità debba essere garantito e, soprattutto, con quali priorità. Ritorniamo, allora, anche se obtorto collo, sul tema del relativismo, che da più parti viene invocato come atto d’accusa nei confronti della laicità, della modernità, ed ovviamente della Massoneria, che di tale malsana dottrina sarebbe stata l’ispiratrice. Noi Massoni non ci sentiamo affatto relativisti, sia perché ciascuno di noi ha le proprie concezioni religiose, etiche e filosofiche, sia perché il relativismo inteso come assoluto rifiuto di dedurre princìpi generali e fondativi del nostro operare è lontanissimo dal nostro modo di vedere la realtà. L’indiscutibile impegno nella difesa dei diritti umani e civili, il continuo operare a tutela della democrazia e della libertà, la diffusione dei princìpi della fratellanza e del dialogo, la centralità della ricerca interiore del cammino iniziatico e, quindi, la sacralità dell’uomo e della vita, sono fatti e valori che distinguono la storia della Libera Muratoria universale ed in particolare quella del nostro paese. Ma l’accu-sa di relativismo cela molte ambiguità. Cosa è in realtà il relativismo di cui ci si accusa e si accusa la modernità? È in sostanza il non voler sottostare all’assolutismo di questa o di quella dottrina teologica, ossia il tessuto connettivo o, se si vuole, il sale della democrazia moderna, della libertà di coscienza contro l’intolleranza ed il fondamentalismo. Riconoscere che la storia e la scienza, quindi, il cammino continuo della conoscenza, hanno offerto all’umanità nuove opportunità di benessere e di salute, scardinando visioni infondate della realtà ed aprendo scenari nuovi, non ci sembra affatto una colpa. Ese questo è un peccato, di esso sono cariche tutte le istituzioni religiose e le Chiese che, di epoca in epoca, hanno cambiato il loro giudizio, la loro interpretazione teologica della natura, a seguito dell’ineludibile evidenza prodotta da scoperte scientifiche rivoluzionarie. Galileo era relativista? Ed Einstein? E le nuove generazioni di fisici, biologi, etc.? Forse il relativismo è qualche cosa di differente e tale termine merita senza indugi di essere meglio definito e circostanziato. In questo sforzo ci aiutano le rimarchevoli considerazioni avanzate da due grandi filosofi del secolo scorso. Penso a Karl Popper ed a Karl Jaspers. Per vie diverse, entrambi hanno sottolineato che il relativismo non coincide affatto con la disponibilità culturale e spirituale ad accettare la sfida del nuovo, che eventualmente falsifica e nega quelle che avevamo ritenuto verità acquisite, ma si identifica piuttosto con la pretesa di disporre di una conoscenza assoluta ed indiscutibile, a cui subordinare, ed in cui coartare, ogni nuova acquisizione scientifica o storica.

Relativisti sono, pertanto, coloro che ritengono, nel nome di una pretesa verità assoluta, di avere risposte a priori per ogni quesito e che non si sottopongono né al criterio scientifico di falsificabilità dei loro presupposti, né che si mettono in discussione dinanzi alla sfida rappresentata da schemi concettuali differenti. Le scoperte di Galileo erano inaccettabili dal punto di vista di una determinata cornice teologico-filosofica del mondo e, quindi, da condannarsi. Chi lo condannò era relativista, e non Galileo o coloro che hanno ritenuto e ritengono in fieri il cammino della conoscenza, pronti a mettere in dubbio le proprie verità qualora l’evidenza mostri che esse sono fondate su presupposti errati o contraddittori. Il relativismo è, quindi, quel tipo di dogmatismo che considera esaurita la ricerca critica, che si ritiene superiore ad ogni verifica scientifica, storica o filosofica, che reputa di essere esente da critiche e pertanto non più perfettibile, perché autoreferenzialmente già perfetto e concluso. Nella sua cornice, nel suo hortus conclusus, il relativista, ossia il dogmatico, si ritiene perfetto, o perlomeno assume il proprio punto di vista come tale. Può solo porsi dinanzi agli altri in termini di superiorità spirituale e concettuale, può solo illuminare coloro che ancora dimorano nelle tenebre, ma non può essere illuminato dagli altri. Se mai, qualora qualcuno, o qualche dottrina scientifica, mettesse in crisi i propri theologoumena, egli dovrà rifiutare tale evidenza e, se possibile, vietarla o censurarla. Queste riflessioni, apparentemente astratte, hanno riflessi concreti nel drammatico scenario internazionale, dove una nuova ventata di fondamentalismo nega alla radice la separazione tra Stato laico e religione. Il tentativo di mettere in crisi la laicità, nel contesto della globalizzazione e della trasformazione multietnica del sociale, viene a sottrarre alla società occidentale uno strumento fondamentale per governare i conflitti interreligiosi e per arginare forme inaccettabili di intolleranza. Soprattutto in questo quadro spinoso, se non drammatico, il Grande Oriente d’Italia ribadisce la sua fortissima attenzione per la difesa della qualità e della centralità della Scuola Pubblica, luogo primario ed essenziale di formazione del cittadino, che non si sottrae alla complessità sociale, ma che, anzi, vi può maturare la propria coscienza civica e democratica, aperta e tollerante. L’enfasi smodata per la privatizzazione del sistema scolastico a detrimento di quello pubblico crea il rischio fondato di potenziare scuole prettamente religiose, che formino non cittadini di una società aperta, ma fedeli appartenenti a comunità separate ed in prospettiva antagoniste. Vorremmo veder realizzare una scuola dell’accoglienza, dotata pienamente dei mezzi necessari per affrontare una sfida secolare, quella di un’integrazione rispettosa delle culture di provenienza, ma non subordinata agli estremismi intolleranti, educante alla pace ed alla conoscenza dell’altro e dei suoi valori: insomma, una comunità educante e non un ghetto di lusso o per poveri, a seconda dei casi. A questo proposito, dobbiamo rilevare che anche le recenti proposte di volere introdurre l’insegnamento della religione islamica nelle scuole italiane – perseverando nell’errore commesso in precedenza a favore di quella maggioritaria nel nostro paese – destano in noi profonde inquietudini. Al di là delle questioni tecniche (ad esempio, quale forma teologica di Islam bisognerebbe insegnare, visto che ce ne sono diverse? Chi designerebbe il docente, se come per la religione cattolica, occorrerà il placet di una autorità religiosa?), rimane una obiezione di fondo: la scuola pubblica non è e non deve essere un luogo dove si devono impartire catechismi di sorta, e per questa ragione noi crediamo che di per sé stesso ogni insegnamento confessionale sia in tale sede inappropriato e inopportuno. Infatti, a lungo andare, il risultato non sarebbe altro che quello di creare per comodità classi chiuse, basate sull’appartenenza religiosa, nuovi ghetti istituzionali e non classi multiculturali e multireligiose unite da valori comuni, quali quelli della Costituzione e dell’appartenenza ad una società libera. Quando, al contrario, si pone il problema di inserire nei programmi scolastici uno studio serio e articolato della storia delle religioni, che permetta di conoscere culture e società diverse ma sempre più in mutuo contatto, sì da creare i percorsi della coesistenza, del dialogo e della conoscenza dell’altro. Come si vede, anche in questo caso, non siamo affatto relativisti, ma abbiamo in mente un modello, certamente perfettibile e migliorabile, del processo di costruzione di un equilibrio sociale, che garantisca la laicità dello Stato, una laicità non pensata contro qualcuno, ma a favore di tutta la collettività, affinché essa possa vivere in pace ed armonia e non in una sorta di tregua armata. Gentili Autorità intervenute, Signore e Signori, Carissimi Fratelli, vi ringrazio per la pazienza e per l’attenzione con cui avete seguito le molteplici considerazioni che, in questa solenne occasione, attraverso la voce del Gran Maestro, il Grande Oriente d’Italia rivolge, per tramite delle vostre persone, al paese nel quale ci onoriamo di vivere, lavorare ed operare.

Speriamo di aver mostrato come la nostra Istituzione viva con intensità la sua adesione a quelli che reputiamo essere valori centrali della democrazia e di un modo equilibrato di vivere ed interpretare la postmodernità, mossi da un prudente ottimismo e da fede profonda nella centralità dell’uomo e della sua grandezza. Se, infatti, non avessimo questa convinzione e questa speranza, non ci troveremmo ancora insieme dopo due secoli di esistenza. Chi si attendeva dal Gran Maestro indicazioni di voto, scelte di campo (destra o sinistra), per le prossime tornate elettorali, sarà di certo rimasto deluso, ma la Libera Muratoria del Grande Oriente d’Italia non intende, né può svolgere un indebito ruolo politico che non le compete, in quanto è rispettosa dell’autonomia decisionale e politica dei cittadini. Essa esprime, promuove grandi valori, agita problemi, stimola coscienze e soprattutto opera per evitare una conflittualità tra Stato e Chiesa. Ma questo non significa che debba assistere silente alle pesanti ingerenze del Presidente della Conferenza Episcopale italiana, che con l’appello al voto ha inteso orientare quello dei cattolici, fissando il criterio per decidere per chi votare, anche se non ha indicato nomi e cognomi e partiti. Vogliamo chiarire che non ci doliamo del fatto che l’alto prelato abbia ribadito posizioni che la Chiesa sostiene da tempo sulla procreazione, l’aborto, le questioni di fine vita, i diritti delle coppie non sposate, perché ha il diritto di manifestarle, ma ciò che è grave è che le abbia riproposte nel corso di una campagna elettorale; il che suona come chiamata alle armi o come richiesta di un impegno futuro a tradurre in leggi principi religiosi da parte di quelle forze politiche e/o di coloro che intendono beneficiare del voto confessionale. Maggiori sensibilità e cautela avrebbero dovuto consigliare il silenzio e il rispetto dell’autonomia politica dei cittadini cattolici e, soprattutto, l’astenersi dal favorire politici subalterni. Abbiamo da poco concluso proprio le celebrazioni dei duecento anni di vita e di attività massonica della nostra Obbedienza nella nostra amatissima patria, ma non ci siamo limitati al ricordo ed al compiacimento per i meriti acquisiti dai padri fondatori. Le diverse manifestazioni che hanno scandito il bicentenario del G.O.I. hanno, infatti, voluto senza timori offrire una rivisitazione, anche critica, della storia libero-muratoria italiana. Si sono evidenziati gli straordinari meriti di coloro che, messi nella condizione profana di poterlo fare, hanno voluto il suffragio universale, la parità tra i cittadini, l’eguaglianza tra i sessi ed i censi ed il voto alle donne, la scuola pubblica e gratuita, il riconoscimento del diritto di sciopero e di organizzazione sindacale, la costituzione delle società operaie e di mutuo soccorso, la fondazione di opere di solidarietà e di risparmio, il rispetto dei diritti umani e l’abolizione di leggi inique come, ad esempio, la pena di morte. Abbiamo avuto la forza morale di denunciare, ancora una volta, i pericoli insiti nell’abuso della denominazione “massoneria”, utilizzata per mascherare miseri fini affaristici, di carriera e ancor peggio, sì da stravolgerne i principi: fenomeno, che nel piduismo trovò la sua peggiore estrinsecazione e di cui siamo stati le prime vittime. Al riguardo abbiamo formulato condanne senza appello. Oggi in Italia opera una Libera Muratoria vivace, intelligente, al passo coi tempi, in grado di interrogarsi sui grandi problemi dell’umanità, sulle sfide aperte, sensibile alle sofferenze che da più parti della società emergono attraverso nuove forme di povertà e di emarginazione, solidale con i più umili e con coloro che sono indifesi. Essa rappresenta per la società un valore aggiunto. I grandi temi che sono stati toccati, però, mostrano che la società ha ancora bisogno di noi, dei valori della laicità, ma anche di una cultura spirituale tollerante e critica, princìpi di cui, peraltro, siamo già stati portatori nei secoli precedenti. Chi riteneva che la nostra funzione storica si fosse ormai esaurita è ora costretto a ricredersi. La Massoneria resta pienamente luogo di libera aggregazione spirituale, capace di coniugare la moderna laicità con la ricerca della verità, ambito di confronto e di riflessione, che educa i diversi a stare insieme, ad essere fratelli pur nelle rispettive posizioni culturali, e, quindi, uniti nell’inesauribile cammino di ricerca che abbiamo intrapreso. Non siamo uomini perfetti, altrimenti non avremmo bisogno di questa istituzione che parte proprio dalla necessità di un mutuo perfezionamento. Non siamo uomini pieni di certezze assolute, anzi siamo spessi attanagliati dai dubbi, da mille interrogativi. In un mondo che vende facili soluzioni, come gadget al supermarket, ma che conosce un disagio sempre crescente, in particolare tra i giovani, noi proponiamo un percorso apparentemente arcaico, ma allo stesso tempo modernissimo, quello che ci mette sempre e comunque dinanzi allo specchio e che ci induce a superare le nostre paure, le nostre debolezze, ma anche a mitigare la superficialità, l’aggressività, la voglia di chiuderci in noi stessi.

(segue 5)

In una società che è cambiata e che cambia vorticosamente, anche la Massoneria è cambiata, pur restando fedele a se stessa, agli Antichi Doveri, che oggi professiamo con serenità, come una Istituzione che ha molto da dare ancora alla costruzione di un mondo più giusto, ed in cui il diritto alla felicità sia un fine collettivo e non un privilegio di pochi.
Noi non dobbiamo nasconderci, perché nulla abbiamo da nascondere. La luce deve brillare e con essa il dialogo con tutti coloro che lo vogliano. Ma, se possibile, noi riteniamo che si debba cercare di dialogare anche con coloro che stentano a farlo. È un impegno difficile e, talora, arduo, ma il percorso massonico è sempre irto di ostacoli. Soprattutto quando si vuole essere interpreti critici della modernità senza prevaricare nessuno. La laicità è un dono costruito con grande fatica, anche dai Massoni. Difendiamolo con saggezza, con il dialogo, con la forza della ragione, ma anche con equilibrio e chiarezza. Perdere o sminuire la centralità della dimensione laica significa aprire le porte a nuove forme di dispotismo e di illiberalità. Compito della Libera Muratoria è senza dubbio stato ed è ancora anche quello di educare, con l’esempio e con la testimonianza, alla laicità ed alla tolleranza. Poiché non ci riteniamo depositari del vero, riconosciamo che ci sono molti uomini liberi e aperti che Massoni non sono e che, però, si comportano come tali. Aiutiamo queste voci, da qualsiasi parte provengano, a costruire un dialogo vero, che insegni all’umanità a superare gli schemi ed i preconcetti, a non accecarsi nel nome di certezze assolute. Noi cercheremo di essere sempre lì dove questa voce di saggezza, di pace e di tolleranza sarà necessaria, perché la Laicità è il sale di una società aperta, il respiro della Libertà. Significa tolleranza, capacità di credere nelle proprie idee senza restarne succubi: mantenere una capacità critica ed emanciparsi dal culto di sé.

Rimini, Aprile 2006


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