Gran Loggia 2005 “1805-2005 Duecento anni per l’Italia”

Gran Loggia 2005
“1805-2005 Duecento anni per l’Italia”
Allocuzione del Gran Maestro Gustavo Raffi

Gentili Autorità presenti, Signore e Signori, Carissimi Fratelli,

la Massoneria è una Comunione di spiriti liberi e critici, non una società segreta; i nostri fini e le nostre ambizioni sono chiare e devono esserlo anche per la società civile; siamo presenti come componente etica e culturale, non come potenza politica, tanto meno occulta. Noi lavoriamo per il nostro perfezionamento interiore, in una catena di sociabilità che si arricchisce attraverso il confronto tra differenze e singolarità che cercano il vero ed il giusto, attraverso un’ininterrotta opera di levigazione della pietra grezza, che poi non è altro che la nostra anima. Non siamo una religione né ci contrapponiamo alle fedi rivelate; anzi, esse sono una fonte di arricchimento interiore per i nostri Fratelli, ciascuno nella libertà del suo cuore e della sua coscienza. Come istituzione la Massoneria, infatti, non propone verità salvifiche o sacramenti che si contrappongano a quelli dell religioni, né opera per la loro svalutazione; induce ed educa soggetti diversi al confronto, in uno spirito di continua apertura e ricerca e non di relativismo assoluto, giacché noi crediamo sia nell’esi-stenza dell’Essere Supremo sia della verità. Semplicemente lasciamo ad altri il compito di dare certezze e definizioni teologiche, che non ci competono, mentre ci impegniamo a compiere un cammino in cui i valori e le convinzioni dei singoli trovino una cassa armonica di risonanza e di dialogo, nella consapevolezza che l’alterità può essere una ricchezza.
Questa, gentili Autorità, Signore e Signori, Fratelli, non è una delle tante assemblee annuali, è la Gran Loggia che si tiene in occasione dei 200 anni di storia del Grande Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani e rappresenta per noi un evento straordinario di cui desideriamo rendervi partecipi.
E’ da meno di un mese, precisamente dal 5 di marzo, che la nostra Comunione ha iniziato i festeggiamenti connessi alla celebrazione ufficiale del suo bicentenario di fondazione. Che non si tratti di una semplice ricorrenza appare ormai evidente a tutti; siamo, infatti, usciti dalle muffe della bolsa laudatio dei tempi passati, dove sembrava tanto bello crogiolarsi tra i cimeli di un tempo glorioso, tra i quadri di grandi protagonisti della storia di ieri, ma senza aver nulla da dire al presente ed al futuro incombente. Noi, infatti, non dobbiamo avere né nostalgia né malinconia per il nostro prestigioso e secolare cammino, solo una forte coscienza ed un sincero orgoglio per quanto di fondamentale e di costruttivo è stato già fatto; se cadessimo, invece, nella nostalgica rimembranza del “come eravamo” saremmo come vecchi sconfitti, fuori da un tempo che non ci appartiene più, privi di idee, fuori posto per le sfide che ci si presentano, solo orientati verso quel che non potrà più ritornare, in attesa dell’estinzione. Il passato che, invece, si erge alle nostre spalle è tale da farci sentire come nani sulle spalle di giganti, ma solo al fine di poterne essere fieri ed al contempo capaci di interpretare i nostri tempi e le loro esigenze. Il riscatto, non solo di immagine, di cui è stata protagonista la nostra Comunione è una realtà – peraltro sancita attraverso atti legali – che abbiamo fortemente voluto e che sono andati positivamente in giudicato in Europa ed in Italia. Non è un caso che molte Obbedienze massoniche europee siano oggi indotte a prendere ad esempio proprio il modello del Grande Oriente d’Italia.
Chi può allora dimenticare, quando ci dicono che la nostra Obbedienza parrebbe essere così etica da sconfinare nella “politica”, che Mazzini, Garibaldi, Cavour e migliaia di altri cittadini e patrioti italiani, legati in forme e modi diversi alla Massoneria italiana, hanno sacrificato la loro esistenza per creare uno stato unitario che fosse all’altezza degli altri e che realizzasse ideali di tolleranza e di eguaglianza, tutti valori che, forse, in altri Paesi erano da tempo acquisiti? Celebrare può anche essere un’ottima forma per imbalsamare e liquidare il passato, ma per noi non è così. Quando ancora ci dicono che siamo stati antagonisti della Chiesa Cattolica, dovremmo forse dimenticare che nel nostro Paese, sino al XX Settembre 1870, quest’ultima esercitava il potere temporale attraverso un regime teocratico, sicché i contrasti con la Massoneria erano, all’epoca, di natura sostanzialmente politica: la nostra sociabilità metteva in discussione, come elemento di modernità e di democrazia, i regimi arcaici, la loro illiberalità ed intolleranza, mentre al contempo essa favoriva, palesemente anzitempo, il dialogo interreligioso e quello tra i censi, attraverso un messaggio di fratellanza universale, mai ateo o irreligioso? Dovremmo forse celebrare il passato irrigiditi dietro i nostri grembiuli e tutti gli altri paramenti, in modo da sfoggiare lustrini e pennacchi, gingillandoci come in uno yacht club pseudo-esoterico?

Noi non lo crediamo affatto! Questo bicentenario sarà piuttosto uno strumento per insistere sul presente e sul futuro attraverso la rivisitazione critica e aperta del passato, affinché le scelte intraprese, attraverso il lavoro straordinario compiuto da tutta l’Obbedienza, possano splendere di luce propria e non semplicemente per glorie antiche, la cui grandezza dobbiamo però custodire e saper valorizzare. Cosa avrebbero voluto i nostri grandi? Delle riservatissime cerimonie di rimembranza oppure una presenza serena, illuminata, trasparente, aperta e vitale? Siamo convinti che la risposta la sappiate già e la condividiate pienamente.
Non è, infatti, un caso che una inappropriata autocelebrazione, in qualche caso un po’ masochistica, dell’antico abbia fatto sì che, anche in Italia, i tesori di valori etico-morali da noi custoditi siano per anni rimasti di fatto celati alla società civile, quasi che ci si vantasse di un vano (e finto) potere che mai abbiamo realmente avuto, ma che faceva vaneggiare coloro che, tolto il grembiule,nulla hanno veramente contato, ben poco contano e nulla conterebbero. Abbiamo voltato pagina e questa occasione ci offre l’opportunità di chiamare a raccolta la forza del nostro Ordine, la sua capacità di essere corpo vitale, pieno di discorsi e di fermenti, luogo di educazione e formazione delle giovani generazioni che sempre più desiderano affrontare un percorso di maturazione, non attraverso sequele di dogmi e di certezze, ma che, nel dubbio, siano disponibili a cercare (e, speriamo, a trovare) la loro strada, grazie anche al confronto ed all’incontro con alterità prima ignote. Tra i pregi della Libera Muratoria vi è proprio quello di non fare a nessuno il lavaggio del cervello, di aprire i Templi, affinché chi partecipi ai riti ed alle tavole non creda né obbedisca a quanto possa venire lì presentato, ma possa farsi una sua idea in libertà, portando i propri dubbi, le proprie incertezze, ma anche la propria voglia di migliorare e di crescere. Questo modo di essere che dura da due secoli, ma – carissimi Fratelli e gentili ospiti – anche da prima, già nel XVIII secolo, hafatto paura e dato fastidio a molti; in tanti hanno pagato duramente per questo, a partire da semplici e innocenti poeti, come Tommaso Crudeli, per arrivare sino ai martiri caduti durante il Fascismo ed il Nazismo ed a coloro che in forme diverse si sono trovati non un comodo posto di lavoro, non una progressione di carriera (come tanti credono), ma, a seguito delle campagne sulla P2 – fenomeno esecrabile e, peraltro, di cui siamo state le prime vittime – hanno perso il proprio e con esso dignità e rispetto. Da queste nebbie e da questi pantani siamo da tempo usciti, senza dover ricorrere ad alcuna forma di respirazione artificiale per stare in piedi; può essere che per qualche momento abbiamo anche barcollato, ma oggi i piedi stanno ben saldi a terra e la testa guarda verso il cielo, con gli occhi rivolti verso il futuro.
Duecento anni al servizio di ideali costruttivi che hanno determinato il passaggioverso una modernità democratica ed egalitaria, verso una società libera in cui religione e potere secolare fossero ben separati e distinti; che la Massoneria sia stata una presenza imbarazzante è solo titolo d’onore per noi, poiché il fastidio recato nasceva dai valori e non dagli interessi, dal desiderio di portare una voce costruttiva e non dall’ambizione di costituire un potere “altro”. Se qualche errore è stato compiuto, come inevitabile in una storia secolare, noi non ci siamo sottratti al giudizio della storia: non a caso le nostre celebrazioni mireranno a discutere e sviscerare le dinamiche, i meriti, gli errori, le grandezze ed i limiti della nostra storia con il coinvolgimento di studiosi, massoni e non, come abbiamo sempre fatto negli ultimi anni.
Resta però il giudizio inequivocabile sul fatto che quando abbiamo cercato di imitare altri, di diventare più “liturgici”, gettando nel pattume la memoria e l’esempio del nostro passato – che non deve affatto essere ripetuto stupidamente, ma tenuto ben presente nella nostra memoria – ci siamo allontanati dai nostri valori e dalla nostra storia, inseguendo vane glorie ed onori. Nessun orpello vale la virtù, neppure la coda di qualche elegante abito da sera.
Duecento anni sono ancora pochi per la costruzione del Tempio e per la realizzazione di tutti quei valori che vediamo sempre meno riconosciuti attraverso gli alienanti processi di un certo tipo di globalizzazione; la Massoneria non deve forse criticare il mercato, quando immorale? l’insorgere di nuove povertà e ingiustizie? l’emarginazione e la riduzione dei cittadini a consumatori?
Qualcuno la può pensare così; ma allora quali oscure prigioni al vizio ed alle tenebre noi potremmo mai scavare attraverso i nostri riti esoterici? Quali ideali potremmo effettivamente costruire, se non ci interrogassimo sul presente, se la nostra Comunione non fosse fatta di uomini capaci di riflettere sui realia e di esprimere dubbi sullo status quo, soprattutto di fronte ad un mondo profano che non conosce fratellanza ed ignora i diritti umani in molte sue parti? La volta dei nostri Templi è scoperta perché non abbiamo il possesso della verità; d’altra parte abbiamo alzato colonne e pavimenti su cui poggiamo ben salde le nostre gambe e cerchiamo di fare il nostro lavoro muratorio come parte vivace e intelligente della società e non come corporazione elitaria, dimentica del mondo.

Lo spazio della Massoneria è fatto innanzitutto di libertà di pensare, di confrontarsi, di unire diversità e non di omologazione o di conformismo; èuno spazio che può, però, chiudersi se il nostro messaggio non è chiaro; per questo nei nostri rituali pretendiamo che il neofita dichiari di conoscere la storia e le finalità della Libera Muratoria. Non vogliamo persone venute a noi per sbaglio o per ignoranza, ma soggetti coscienti e responsabili; protagonisti di un percorso e non oggetti passivi di una nostra elucubrazione. Non a caso essere e dichiararsi massoni è oggi un gesto che può risultare ancora estremamente provocatorio, soprattutto in una società che sino a poco tempo addietro ci considerava come “cattivi soggetti” o, nei casi migliori, come anticaglie del passato, che avevano concluso la loro funzione storica. Queste celebrazioni, questo anniversario così importante, dovranno sottolineare il fatto che il nostro compito, il senso del nostro stare insieme, non sono affatto esauriti e che la capacità di offrire nelle nostre Logge un momento di ricerca, di educazione civile, etica e morale, costituisce una ricchezza che accresce i valori su cui il Paese marcia. La conferma della giustezza di queste considerazioni arriva non solo dai riconoscimenti pubblici, dalla vostra presenza qui oggi, ma anche dall’attenzione che ci è prestata dalle altre Massonerie mondiali, perché nuove generazioni si affacciano ai nostri Templi, perché dal nostro passato, da una storia gloriosa traiamo gli spunti necessari per andare avanti con entusiasmo e con idee forti, che poi sono, mutatis mutandis, quelle dei nostri fondatori. Ai nostri padri dobbiamo molto; ma l’Oriente Eterno, ove tutti dovremo andare prima o poi, non è un cimitero con tante lapidi su cui piangere le disgrazie presenti, ma un luogo dello Spirito abitato da anime forti, pieno di esempi, di testimoni, di martiri che non hanno vacillato, ma che hanno saputo testimoniare i valori di una cultura etica e morale che oggi ci permette di essere quel che siamo. Rendere omaggio a queste anime forti vuol dire vivere il presente e affrontare il futuro come contemporanei della posterità. Solo così avremo reso il dovuto omaggio a chi ci ha preceduto.
In questo rinnovato contesto, più che festeggiare e compiacerci, vorremmo allora contribuire ad una più circostanziata riflessione su molti temi sui quali si sta oggi dibattendo, in modo talora aspro, nella nostra società; in particolare, riteniamo di estrema importanza invitare tutta la Comunione ed il mondo profano ad una più accorta attenzione su alcune fondamentali questioni bioetiche. Forti della nostra storia – che è, per alcuni aspetti, diversa da quella di altre Massonerie – e ben consci della speciale situazione italiana, pur operando sempre nel solco dei Landmarks di Anderson, noi guardiamo al futuro e cisentiamo parte viva del presente; né depressi laudatores temporis acti, né imbalsamati sacerdoti di una liturgia che si esaurisce con se stessa, i Massoni hannoben chiara l’importanza delle battaglie laiche e civili che ne hanno distinto l’identità storica e che ne hanno fatto dei protagonisti e degli interpreti della società civile e non dei parrucconi che non hanno nulla da dire e da rappresentare al di là dei loro paramenti.
Le norme attuali che regolano in Italia la procreazione assistita ci sembrano alquanto insoddisfacenti; esse appaiono palesemente ispirate e incentrate su una serie di pregiudizi e hanno il fine di sostituirsi alle scelte dell’individuo, secondo un modulo di antica tradizione volto a subordinare la libera ricerca scientifica a dogmi metafisici. Sembra – come ai tempi di Galileo Galilei, quando un processo di eccezionale gravità mirò a censurare una nuova visione del mondo e con essa i limiti di una secolare teologia – che un certo oscurantismo voglia, ancora oggi, imporre limiti legali alla scienza, al progresso ed alla creatività umana.
Queste nostre considerazioni non devono essere prese, soprattutto nel mondo cattolico – che sappiamo osservarci con una certa attenzione – come l’ennesima manifestazione di relativismo e di deismo massonico. Infatti, anche quando non si è affatto d’accordo, vorremmo mantenere un dialogo sereno, senza rispondere a priori alle solite accuse che in realtà spostano su temi superati da anni le questioni più importanti. Ribadiamo allora che noi rispettiamoil punto di vista teologico della Chiesa e ci rifiutiamo di entrare nel suo merito come Comunione Massonica, giacché la Libera Muratoria non solo non ha una teologia, ma non deve affatto averla, pena il trasformarsi in una religione. Molti Massoni probabilmente potranno anche concordare con il punto di vista della Chiesa Cattolica uti singuli e quindi si atterranno, se lo riterranno opportuno, a tutta quella serie di comportamenti e di regole che la loro coscienza religiosa detterà eventualmente loro (né per questo, la nostra Istituzione potrebbe in alcun modo discriminarli o biasimarli); d’altro canto, proprio per l’adesione a quei principi etici che ci distinguono, tali Fratelli difenderanno il diritto degli altri cittadini a percorrere un cammino diverso, soprattutto in un campo che vede emergere nuove e rivoluzionarie scoperte dinanzi alle quali tante definizioni “morali” del concetto di individuus (segnatamente nel caso dell’embrione) appaiono francamente sempre meno adeguate e talora del tutto scientificamente out of date.

A nostro avviso, il diritto positivo deve restare nettamente separato dalla morale di qualsiasi religione (e quindi la questione non vale solo nei confronti del mondo cattolico, ma ad esempio di quello musulmano, ecc.), mentre lo Stato ha il dovere inalienabile di garantire la propria indipendenza, favorendo leggi che rispettino l’autonomia decisionale dell’individuo, in sostanza, la sua libertà, sottraendolo all’imposizione di norme scaturite da visioni olistiche e moralmente esaustive espresse da alcune “autorità superiori che possano arrogarsi il diritto di scegliere per lui su tutte quelle questioni che riguardano la sua salute e la sua vita”, come ha espressamente scritto nel Manifesto di bioetica laica un gruppo di studiosi della levatura di Carlo Flamigni, Armando Massarenti, Maurizio Mori e Angelo Petroni (“Sole 24 Ore”, Domenica 19 giugno 1996).
L’etica che difendiamo è quindi un’etica laica, sebbene per nulla antireligiosa; essa si pone semplicemente come non dogmatica e aperta, soprattutto dinanzi ad una scienza che viene a ribaltare costantemente una serie di “conoscenze” sedimentate da secoli e che appaiono di volta in volta del tutto superate. L’applicazione di un’etica inamovibile, di una verità acquisita ora e per sempre, poiché fondata su concezioni morali e filosofiche stabilite molti secoli or sono, qualora fosse utilizzata per imporre a tutti non solo giudizi morali inappellabili, ma anche norme di comportamento, leggi e sanzioni penali, rischierebbe di determinare un contesto del tutto intollerante, fazioso e, in sostanza, fondamentalista.
Percepiamo, ovviamente, la contraddittorietà di tante situazioni e anche la difficoltà di una parte del mondo cattolico a metabolizzare il dialogo con la scienza ed il progresso tra passato e futuro, tra impianti teologici e nuovi scenari fisico-biologici. Ad esempio, oggi (e probabilmente per molti secoli ancora) non saremmo in grado di affermare l’esistenza o meno di altri mondi abitati nell’immensità dell’universo o semplicemente di altre forme di vita, anche se ciò risulta alquanto possibile, se non addirittura probabile; tale evidenza, ovviamente, ha cambiato anche il punto di vista della Chiesa la quale, invece, un tempo avrebbe senza indugi rifiutato (come in effetti rifiutò) una siffatta e sconvolgente nozione che inevitabilmente aveva spiazzato la centralità e l’unicità della terra nel piano creativo e più specificamente del ruolo del Dio incarnato nella storia, relativizzandola (almeno in parte) in quella del cosmo, dove altri casi simili avrebbero, in teoria, potuto accadere nell’infinita volontà elibertà di Dio, che resta, comunque lo si pensi, inconoscibile in tutta la sua grandezza.
Così, tornando all’embrione ed alle polemiche che infiammano la discussione attuale, ci sembra che la determinazione del suo statuto ontologico, almeno come proposta dalla Chiesa Cattolica, sia ben lungi dall’essere scientificamente inappellabile. Non c’è quindi da stupirsi se anche un teologo salesiano come Norman M. Ford, in un suo saggio uscito nel 1988 (When did I begin? Conception of the human individual in history, philosophy and science, Cambridge 1988; tr.it.Quando comincio io? Il concepimento nella storia, nella filosofia e nella scienza, Baldini e Castoldi, Milano 1997), abbia mostrato alcune interessanti aperture a-dogmatiche, sollevando con molta onestà intellettuale non pochi interrogativi, dettati proprio dalla difficoltà di definire ontologicamente l’embrione nelle prime due settimane di vita.
Non meno gravi ci sembrano le considerazioni relative alle accuse di tecnocrazia concernenti la fecondazione artificiale eterologa, innanzitutto perchéfondate sul principio che esista una legge morale universale capace di definire una visione necessariamente condivisibile della natura, alla cui obbedienza richiamare tutti gli uomini. Si è opportunamente fatto notare che non esiste nulla di più culturale della definizione di “natura”. Quanto alle questioni relative alla definizione di “figlio” in senso giuridico e biologico, non ci sembra corretto presupporre che il donatore nella fecondazione eterologa sia una figura inquietante. A parte il fatto che tale teoria non risulta confermata dalle ricerche sociologiche, essa si presenta più come una valutazione soggettiva, piuttosto che come una verità morale oggettiva. Sono la libera scelta, la volontà, il deliberato consenso e l’amore dei genitori ad indurli ad avere un figlio, anche attraverso la fecondazione eterologa; questi sembrano essere i “fatti” centrali, sui quali ci rifiutiamo di dare giudizi ontologici e assoluti. In attesa, quindi, di ritornare in modo certamente più circostanziato e incisivo su questi temi – anche e soprattutto attraverso le voci di alcuni tra i più grandi protagonisti del dibattito scientifico e della ricerca – riteniamo doveroso, proprio in questa concitata fase della storia della società italiana, ribadire con forza quei valori laici sui quali si fondano tutti i moderni Stati democratici e di diritto e che sono stati affermati dopo oltre quattro secoli di lotte, nel nome della difesa dei fondamentali principi di libertà e di tolleranza: lotte che hanno visto la Libera Muratoria universale sempre in prima linea.

A questo proposito sembra ineludibile una sia pur breve riflessione sui recenti pronunciamenti espressi da alte autorità del mondo ecclesiale, vuoi sulla legge sulla fecondazione assistita e segnatamente sulla natura degli embrioni, vuoi sull’esortazione a disertare le urne in occasione del prossimo referendum. Noi non contestiamo certamente agli uomini della Chiesa il diritto di esprimere valutazioni etiche, coerenti con la propria cultura religiosa e teologica e di parteciparle a credenti e non, né tanto meno contestiamo a qualunque cittadino il diritto di manifestare il suo pensiero circa i comportamenti cui egli o altri si atterranno in vista di determinate scadenze istituzionali. E ovviamente non ci appartiene qualsiasi influenza o indicazione sulla scelta degli elettori. Troviamo, invece, gravissimo il tentativo di delegittimare, attraverso posizioni ufficiali, il confronto democratico referendario, valorizzando un espediente, quello dell’astensionismo totale, che ci pare diseducativo rispetto ai valori della moderna società civile e vanificante una prerogativa costituzionalmente garantita come principale strumento della volontà popolare. Evitare una verifica franca e aperta attraverso il non voto è un tentativo mal celato di sottrarsi ad un confronto e si palesa come un timore dinanzi ad un risultato che si prevede sfavorevole; e, certamente, non propone all’Italia e soprattutto alle nuove generazioni un modello costruttivo e formativo di democrazia e di dialogo. Promuovere l’astensionismo significa, infatti, diseducare al voto, violando quelle regole della religione civile alle quali si informa l’essere cittadini partecipi responsabili della res publica.
Anche se oggi per la Libera Muratoria è un giorno di festa, abbiamo ancora nel cuore le dolorose vicende occorse con tutta la loro drammaticità nel sud-est asiatico, che ci inducono ad una serie di riflessioni di ordine etico e filosofico che ci sembra debbano trovare spazio anche nel contesto di questa allocuzione.
Di fronte ad una catastrofe di portata eccezionalmente distruttiva quale quella dello tsunami vengono, infatti, in mente le sconsolanti e dolorose conclusioni di uno dei più grandi pensatori dell”800 europeo e del nostro Paese; Giacomo Leopardi. La manifestazione più brutale della violenza, per così dire matrigna e implacabile della natura, sembra aver trovato in questa sciagura una sua conclamata realizzazione, senza al momento lasciare spazio ad alcuna consolazione oppure ad una qualche accettabile spiegazione del perché di tale dramma. Una sorta di cui prodest? non può infatti trovare alcuna risposta soddisfacente.
Né avrebbe senso, come nella disperazione spesso accade, chiedersi dove fosse Dio. Noi non abbiamo alcun diritto di intervenire su questioni di ordine teologico, come già ribadito, ma la domanda, già fatta nel caso di sciagure dettate dalla follia umana (dov’era Dio ad Auschwitz?), si ripresenta in tutta la sua aporetica drammaticità. Il Grande Architetto dell’Universo, qualunque sia la fede professata dai nostri ascoltatori, certamente non era assente, ma la sua presenza andava forse vista nella capacità di tutti coloro che hanno sofferto di restare esseri umani, di mantenere la forza di vivere e combattere per evitare in futuro il dolore attraverso il quale erano (e sono) passati. Dal punto di vista della natura, il caso dello tsunami rientra tra i “fenomeni”: mille o un milione di morti non fanno differenza, in un universo dove si spengono interi sistemi solari e dove anche le stelle muoiono; ma dal nostro, per quanto piccolo, angolo di visuale, per il nostro essere nel e per il mondo, che senso ha tutto questo? Bisogna rassegnarsi, come le foglie autunnali sugli alberi in attesa di cadere, oppure possiamo, interrogandoci nel profondo, trarre qualche lezione e soprattutto maturare una coscienza che permetta, perlomeno, di limitare in futuro le conseguenze di questi – appunto – “fenomeni”?
Ma non si vuole affatto saltare subito ad alcuna conclusione o proporre qualche formuletta facile facile; bisogna ritornare ancora sul dramma in quanto tale e sugli interrogativi più generali che esso solleva alla nostra coscienza critica, così come i nostri riti ci fanno sbattere la faccia (e la mente) di fronte agli archetipi più tremendi e laceranti del nostro “esserci”.

Per quanto l’uomo faccia e farà, il diritto alla felicità resta un fine, qualcosa verso cui tendere ininterrottamente e senza limiti, ma pur sempre un tendere verso e non un possedere definitivamente. La felicità non può essere posseduta, ma solo attraversata, provata, goduta quando ci è vicina, perché la sua provvisorietà non è dettata dal nostro volere, ma si interseca con le cose del mondo, con il volere ed il piacere degli altri, con la natura e, anche, con il caso. Quale spiegazione per la sorte di coloro che, un bel mattino natalizio, sono andati in gita in barca in un mare meraviglioso e non sono più tornati? Quale spiegazione per coloro che, magari per un mal di testa, sono rimasti in albergo, e sono ancora vivi? Lasciamo da parte le possibili, quanto forse oziose, speculazioni sul destino, la sorte, gli angeli custodi e riflettiamo invece sul fatto che come esseri di “materia tendenziforme scagliati nell’universo”, come ci avrebbe definito Ernst Bloch, noi viviamo e giochiamo la nostra vita, scegliamo, talora subiamo, amiamo e soffriamo, ma non siamo onnipotenti e soprattutto siamo sempre accompagnati da “sorella morte”; è quasi un paradosso che il dono della vita ci appaia ancor più grande, quando stiamo per perderla o quando essa si spegne vicino a noi.
Questa dolorosa verità implica molte cose che, per noi Massoni, hanno un senso alquanto profondo. Conosciamo la morte, o almeno ne abbiamo dovuto attraversare un suo simulacro, e quindi siamo coscienti della nostra finitezza, perché abbiamo dovuto pensarci e, se non lo abbiamo fatto, vuol dire che di Massoneria non abbiamo ancora capito granché; per questo riteniamo di poter percorrere il nostro cammino nel Dasein come esseri liberi che, cercando la felicità, si ricordano della necessità e della responsabilità di salvaguardarla o di renderla possibile e non troppo provvisoria. Sciagure come questa più recente, dalla maggior parte di noi vissuta attraverso i media, ma in alcuni casi anche attraverso le vicende dirette di amici, parenti e Fratelli, costringono a soppesare la stupidità di un mondo che in troppe occasioni gode di una felicità fittizia, come un gruppo di ubriachi su un camion lanciato alla massima velocità lungo una strada di montagna.
La felicità non sarà mai totale per il mondo, almeno per questo mondo, dove storia e natura giocano le loro carte; è vero: siamo esseri limitati, possiamo ammalarci, soffrire e dobbiamo morire, ma dinanzi all’ineliminabilità di queste verità sappiamo anche che molti mali del mondo e soprattutto molte sciagure naturali possono essere previste, evitate o almeno temperate nelle conseguenze. Qui le carte – se si può usare la metafora del giocatore – tornano a noi ed alla nostra razionalità che deve accompagnare i sentimenti ed il coraggio con cui viviamo di giorno in giorno. La nostra Comunione ha – infatti – fini esoterici, ma non si è mai sottratta dall’esportare, come contributo critico e positivo, quanto maturato in un contesto più spirituale e simbolico. A che cosa servirebbe una dimensione etico-morale, esoterica, rituale e simbolica, se poi tutto ciò non facesse scaturire nella coscienza dei singoli e dell’Istituzione stessa il bisogno di essere testimoni di questa ricerca del bene e della felicità? Non è possibile allora che non ci si interroghi ancora una volta sugli aspetti, in diversi casi, amorali della globalizzazione, mentre non si globalizza la sicurezza, soprattutto dinanzi alle catastrofi naturali le quali, in casi come quello avvenuto, possono per certi versi essere previste con grandissimi risultati dal punto di vista della salvezza di migliaia di persone. Il diritto alla felicità torna – quindi – ad essere un tema su cui non ci stancheremo di insistere, perché esso implica il diritto dei popoli, degli umili della terra, ma anche di coloro che si muovono partendo dal ricco e opulento Nord del mondo, a non morire inutilmente e a non subire lacerazioni e perdite incolmabili per ignoranza o, peggio, per quello sciagurato ottimismo di chi, pur di guadagnare, pensa che queste cose non accadranno mai e che siano semplici invenzioni simulate dai ricercatori con i loro computer ed i loro modelli fisico-matematici.
L’attenzione alla natura, alla sua forza, alla sua capacità anche di vendicarsi di eventuali errori umani, o più sempliceente di fare il suo inesorabile corso, incurante di questi suoi figliastri, resta un dovere inderogabile.

Che l’atteggiamento della Massoneria sia, però, intrinsecamente diverso da quello di un Leopardi è evidente dalla speranza che comunque coltiviamo e dall’accettazione, che abbiamo già messo in conto, del dolore e della morte, unite, d’altro canto, all’ottimismo della ragione e non subordinate ad uno stolto ed incosciente edonismo, che ci porterebbe a godere di quanto possediamo ed a considerare non di nostro interesse quel che potrebbe capitare agli altri. Come i Fratelli sanno, il Grande Oriente d’Italia ha inteso sostenere in modoreale le popolazioni colpite dal cataclisma di dicembre; più precisamente abbiamo raccolto l’appello rivoltoci dalla Gran Loggia dell’India, alla quale vogliamo offrire un aiuto concreto, partecipando attivamente alla ricostruzione ed all’opera di soccorso alle popolazioni colpite. Ma questa è solo una parte del nostro dovere. Da un punto di vista più generale, noi dobbiamo testimoniare in tutte le sedi pubbliche ed in tutti gli spazi di discussione una cultura che intenda la solidarietà non come qualcosa indotta dall’emergenza, ma come una scelta della ragione e del cuore. Raccogliere fondi dopo una sciagura è nonostante tutto facile; operare affinché Stati più poveri o meno sensibili si dotino di strumenti di prevenzione e di piani di intervento o evacuazione all’altezza dei pericoli naturali incombenti è tutt’altra cosa. Se la Massoneria fosse così potente come alcuni pensano, non ci saremmo certo dimenticati di questi doveri. In ogni caso dobbiamo sottolinearne l’importanza. Per questa ragione, noi ribadiamo la centralità degli organismi umanitari internazionali, l’importanza assoluta delle Nazioni Unite, come camera di compensazione e di civiltà, comeluogo di dialogo e di superamento delle contraddizioni dinanzi ad ogni particolarismo.
Dalla morte nasce la vita, ma non sapremmo come dirlo a coloro che sono morti o a coloro che hanno perso i loro cari. Da queste morti nasce anche una grande rabbia per la felicità spezzata e negata; la natura ha fatto il suo corso, ma, lasciando perdere la chiamata in causa di Dio – soluzione che in tanti casi serve solo a giustificare gli ignavi ed i colpevoli – dov’era la ragione umana? dov’erano gli strumenti scientifici che potevano prevedere? dov’erano gli uomini? dov’era impegnata la loro mente? la loro ragione? Se il sonno della ragione genera mostri, possiamo aggiungere che, senza dubbio, esso aiuta la stessa natura ad estrinsecare il suo aspetto più brutale. Non possiamo peraltro dimenticare che anche noi stessi siamo parte della natura e che quanto facciamo o non facciamo, come ricordano i nostri rituali, è il frutto di una scelta, di un atto deliberato. Quando si dorme, quando si volta la testa dall’altra parte, si è comunque scelto, perché anche non fare nulla è una decisione, di cui ciascuno deve assumersi la propria responsabilità.
Non perdiamo la speranza, ma siamo sconcertati e profondamente colpiti. Vogliamo stringerci a coloro che hanno sofferto per partecipare del loro dolore, ma anche prendere un più marcato impegno a difesa del diritto dei popoli ad essere tutelati nella loro sicurezza. Sono questi i valori da globalizzare e non solo i pacchetti turistici o la circolazione delle merci. Certamente non basterà quanto è accaduto a convincere tutti che bisogna cambiare rotta e che molti Stati devono accettare norme di intervento nel contesto della protezione civile che oggi non hanno ancora. Forse, soprattutto i più poveri, vanno aiutati anche dai nostri più ricchi Paesi; ma prima, quando c’è tutto il tempo di agire con raziocinio. Dopo…, dopo è troppo tardi, almeno per coloro che il caso ha portato via, siano essi stati poveri o ricchi, locali o stranieri.
La morte, come ricordava, usando un linguaggio esoterico, un altro iniziato alla Massoneria, il Principe Antonio de Curtis, alias Totò, è una “livella”. Ma se, oggi, un occidentale ed un orientale giacciono insieme, indistinti, in qualche abisso o in qualche fenditura della terra, ciò non cancella il fatto che, almeno in parte, questa tragedia avrebbe potuto essere limitata. Al di là delle differenze di cultura, religiose e status sociale, nessun morto si sentirà indignato dalla vicinanza del Fratello straniero. Come concludeva Totò la sua celeberrima poesia, in vero ispirata al Dialogo sopra la nobiltà del Parini, altro poeta italiano nutritosi, almeno in parte alle nuove idee dell’Illuminismo: sti ppagliacciat e’e ffanno sulo ‘e vive: nuje simmo serie… appartenimmo â morte. Queste pagliacciate le fanno solo i vivi: noi siamo seri… apparteniamo alla morte.
Noi aggiungiamo soltanto, a guisa di chiosa, che, fino a quando – però – apparterremo alla vita dovremo batterci affinché essa sia protetta, nella felicità e nella gioia a cui tutti i viventi hanno diritto di aspirare, nei limiti che la sorte individuale e la natura permetteranno, ma anche nelle potenzialità che la scienza e la ragione hanno la possibilità e l’effettività di garantire. Senza rimpianti, senza malinconia, il futuro – quindi – ci attende gravido di incognite e di sfide, ma noi siamo liberi Muratori e bravi costruttori; le grandi opere non ci spaventano anche se ne conosciamo la difficoltà; anzi, le cose semplici – diciamolo con franchezza – non ci piacciono troppo, altrimenti non ci saremmo trovati dove siamo, né ci saremmo messi in discussione come abbiamo fatto, per il bene ed il progresso non solo di noi stessi, ma dell’umanità.


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