Addio a Gigi Magni, poeta di Roma. Nel 2005 il Gran Maestro Raffi aveva conferito la ‘Galileo Galilei’ al regista che ha raccontato lo spirito di un popolo

Ha narrato la storia di Roma ma soprattutto ha raccontato il suo spirito vero, quello che non si arrende di fronte a nulla. Dietro l’occhio della sua telecamera c’era un cuore profondo, che conosceva i passi della sua gente, l’ironia e la voglia di costruire, di immergersi nell’umanità del popolo per trattenere ogni storia che solca i sanpietrini. Luigi Magni, in arte Gigi, se ne è andato questa mattina, nella sua casa romana, all’età di 85 anni. Nato a Roma il 21 marzo del 1928, aveva iniziato la carriera come sceneggiatore e soggettista in collaborazione con Age & Scarpelli. Si è detto che Magni stava al Campidoglio come i fratellini della Lupa, come Anna Magnani e Alberto Sordi. Ma più di loro “Gigi” aveva ben chiaro il senso di coltivare la memoria della sua Roma in chiave di sguardo sull’oggi. Romano di Roma, aveva festeggiato nel 2008 con un David di Donatello alla carriera i suoi primi 40 anni da regista.

Tre anni prima, il 24 giugno 2005, a Villa il Vascello, il Grande Oriente d’Italia aveva conferito al regista l’onorificenza “Galileo Galilei” che l’istituzione assegna a personalità illustri – non appartenenti alla Massoneria – che si sono distinte per aver testimoniato i principi universali di libertà, fratellanza e uguaglianza. A consegnare l’onorificenza al grande regista della storia della Roma papalina e del Risorgimento nel corso di un serata speciale, organizzata dal Servizio Biblioteca, fu il Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, Gustavo Raffi. Nella motivazione, si sottolineava l’importanza del lavoro di Magni, “poeta laico del Risorgimento italiano. I suoi capolavori sono portatori di messaggi di libertà intellettuale e civiltà morale: segni evidenti di una irrinunciabile laicità e della sua radicale libertà di pensiero, avulsa da qualsiasi schema precostituito o da compiacimento nei confronti del potere. Valori che da sempre costituiscono un patrimonio irrinunciabile per i Liberi Muratori del Grande Oriente d’Italia”.

Al cinema Magni si era affacciato invece da sceneggiatore nel 1956 affiancando Age& Scarpelli per Tempo di villeggiatura di Antonio Racioppi con Vittorio de Sica mattatore. Per lui, che aveva visto all’opera la ‘Wandissima’ Osiris, il giovane Alberto Sordi, Macario, Dapporto e Rascel, non fu difficile adattarsi ai tempi cinematografici e ad uno stile che stava diventando ‘canone’ come quello della commedia all’italiana. In rapida sequenza è coinvolto in successi di cassetta (Il corazziere, La mandragola) e nei primi tentativi di una nuova generazione di autori, da Festa Campanile a Mauro Bolognini. Nel ’68 collabora con Mario Monicelli ad un vero evento del nostro cinema come la trasformazione di Monica Vitti in attrice comica (La ragazza con la pistola) e si merita i galloni per debuttare in proprio da regista con Faustina da una sua storia originale. La pellicola ha inatteso successo e permetterà a Magni di conquistare la fiducia di un produttore sofisticato come Bino Cicogna che, in pieno tempo di contestazione generale (il ’69), gli affida un budget importante e grandi attori come Sordi, Manfredi, Tognazzi, Cardinale, Salerno per un’opera corale e in costume intitolata ‘Nell’anno del Signore’. Il film ha un successo travolgente. Quella storia di carbonari e utopisti della rivoluzione nel cuore della disincantata Roma papalina di Leone XII è la risposta agli eroici furori del maggio ’68. Ma Gigi va anche oltre: riprendendo la vera storia dell’arresto e dell’esecuzione dei patrioti Targhini e Montanari ghigliottinati a Piazza del Popolo nel 1825 e cantati da Pasquino in aperto scontro con il Papa Re, il regista propone una contro-storia dell’Italia risorgimentale, apre un libro di storia che fa ballata popolare perché gli italiani di oggi si riapproprino della propria memoria tenendo distante la retorica savoiarda e poi mussoliniana. A quest’idea rimarrà sempre fedele. Vennero cosi’ gli incantevoli bozzetti, degni delle rime di Gioacchino Belli e dei cachinni di Pasquino, che si ricordano come La Tosca (1973) con Monica Vitti e Gigi Proietti, In nome del papa re (1977) con il compagno di sempre Nino Manfredi e un irriconoscibile Ron, Arrivano i bersaglieri (1980) con Ugo Tognazzi e un giovane Vittorio Mezzogiorno. Sono i quattro film della sua vita, alternati a scorribande originali come La via dei Babbuini (1974), il biografico State buoni se potete (1984) con Johnny Dorelli nei panni di San Filippo Neri e poi Secondo Ponzio Pilato (1987) con Nino Manfredi governatore della Giudea in odore di Bulgakov (Il maestro e Margherita).

Alle storie risorgimentali Magni è tornato anche nell’ultima stagione della sua carriera con opere meno originali per il cinema e la tv, da O re, a In nome del Popolo Sovrano, da La carbonara. Dopo l’uscita del film tv ‘La notte di Pasquino’ (2003) e con la morte di Nino Manfredi nel 2004, smette di girare pellicole. Sempre nel 2004 riceve al Tranifilmfestival il premio cinematografico ‘Stupor Mundi’ riconoscimento alla carriera ispirato alla figura di Federico II di Svevia. Gigi celava sotto la maschera dell’ironia e dello scetticismo una passione civile degna dell’amico Monicelli. Amava il cinema semplice, coltivava la lingua romanesca come un tesoro, viveva all’ombra di Via Margutta, era adorato dai suoi attori come dalla gente del quartiere e alle cene di Otello a Via della croce era di casa. I Liberi Muratori lo ricordano come un uomo che ha dato voce alla gente e agli ultimi. Conserveremo il suo pensiero di celluloide e la bellezza di volti che conoscono il vento e le lotte. Anche se nella sua e nostra Capitale laica ora fa un po’ più freddo.

VEDI IL TG DELL’AREA MULTIMEDIALE DEL GRANDE ORIENTE D’ITALIA
CON IL FILMATO DELLA SERATA IN ONORE DI GIGI MAGNI AL VASCELLO (24 giugno 2005)



Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *